martedì 10 Dicembre 2024

Il linguaggio serve veramente per pensare?

Al contrario da quanto ipotizzato da numerosi studiosi moderni che sostenevano che usiamo la comunicazione per ragionare, il linguaggio risulta principalmente uno strumento di relazione e di divulgazione piuttosto che di pensiero: lo riporta una nuova revisione scientifica della letteratura che ha analizzato gli studi a riguardo effettuati negli ultimi decenni e pubblicata sulla rivista scientifica Nature. Secondo gli autori, sebbene lo sviluppo del linguaggio abbia indiscutibilmente trasformato la storia umana, non sembra essere tuttavia un prerequisito per il pensiero complesso, incluso il pensiero simbolico. Al contempo, «la lingua è un potente strumento per la trasmissione del sapere culturale» e «plausibilmente si è co-evoluta con le nostre capacità di pensiero e di ragionamento e riflette soltanto, piuttosto che darle origine, la sofisticazione tipica della cognizione umana», hanno concluso gli autori. Il dibattito scientifico naturalmente non si fermerà qui e un punto sul vero scopo del linguaggio, tema che non a caso riempie i quesiti dei filosofi già dall’antica Grecia, è lungi dall’essere posto.

Platone pensava che il linguaggio fosse essenziale per pensare, in quanto il pensiero «è una silenziosa conversazione interiore dell’anima con sé stessa». Tale interpretazione è stata condivisa anche da numerosi studiosi moderni, che a partire dagli anni ’60 del Novecento hanno sostenuto che l’essere umano usa il linguaggio per ragionare e sviluppare altre forme di pensiero, in quanto «se c’è un grave deficit di linguaggio, ci sarà anche un grave deficit di pensiero». Alcuni studenti però non rimasero convinti da questo assioma, tra questi vi era Evelina Fedorenko, professoressa associata presso il McGovern Institute for Brain Research: «mi piaceva molto l’idea», ma molte delle cose dette «sono state semplicemente dichiarate come se fossero fatti» nonostante la mancanza di prove, ha dichiarato la scienziata del MIT.

Dopo 15 anni di ricerche e analisi della letteratura esistente, il suo lavoro l’ha portata ad una conclusione: «Quando inizi a valutare, semplicemente non trovi supporto per questo ruolo del linguaggio nel pensiero». La dottoressa Fedorenko e il suo team hanno scoperto che i risultati a riguardo – i quali suggerivano che le stesse regioni del cervello adibite al linguaggio fossero attive anche quando le persone ragionavano ed eseguivano calcoli – erano frutto di osservazioni imprecise e che utilizzando scanner più potenti si giunge a conclusioni opposte. Per esempio, alcuni studi hanno sottoposto alcuni individui all’ascolto di frasi senza senso seguite da frasi vere e poi alla risoluzione di problemi come i puzzle. Scansionando il loro cervello, si è scoperto che le stesse regioni che «lavoravano duramente» mentre venivano elaborati pensieri complessi «sono rimaste in silenzio» quando gli esperimenti si basavano solo su questioni linguistiche. Ma le evidenze a riguardo non finiscono qui in quanto anche gli studi effettuati su persone con lesioni cerebrali punterebbero alla stessa direzione: gli scienziati hanno spiegato infatti che ictus e altri danni al cervello possono spazzare via quasi completamente la rete neuronali adibita al linguaggio lasciando le persone in difficoltà nell’elaborazione delle parole e dei messaggi. Tuttavia, altri esperimenti hanno mostrato che le stesse persone non riscontrano problemi ad interpretare numeri e calcoli aritmetici, suggerendo quindi la stessa tesi degli autori.

Il linguaggio quindi servirebbe principalmente alla comunicazione e, sebbene non sia l’origine del pensiero, sarebbe strettamente collegato alla sua evoluzione, e questo si nota per esempio nell’ottimizzazione delle lingue per trasferire le informazioni in modo più chiaro ed efficiente. Secondo uno studio infatti, le parole usate più di frequente sono brevi e così facendo si accelera il flusso di informazioni, mentre secondo un’altra ricerca basata su 37 lingue ha scoperto che vi è la tendenza universale nello scegliere le parole in modo che il loro significato combinato sia più facile da capire. Il linguaggio sarebbe quindi strettamente collegato al pensiero, ma non sarebbe la sua origine. Infine, Kyle Mahowald, un ricercatore del settore non coinvolto nello studio, ha aggiunto che separare le due attività cerebrali potrebbe aiutare a spiegare perché le intelligenze artificiali svolgono particolarmente bene alcuni compiti ma risultano inadeguate in altri mentre Guy Dove, professore di filosofia all’Università di Louisville, ha concluso: «Non c’è bisogno del linguaggio per avere dei pensieri, ma può essere un miglioramento».

[di Roberto Demaio]

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4 Commenti

  1. Se per linguaggio intendiamo la modalità di comunicazione è una cosa, se intendiamo la conoscenza delle parole per elaborare un concetto ma non legata alla comunicazione è un’altra. Come si dice c’è chi parla senza attivare il cervello chi lo attiva e tace e chi fa entrambe le cose, per cui il linguaggio inteso come comunicazione non è strettamente legato e necessario al pensare. Questa è la mia modesta opinione.

  2. Mia figlia era tra le intelligenti ricercatrici Farmacologiche e poi per alleviare l’ansia si è messa a parlare da sola diventando sub dotata, quindi posso confermare definitivamente che il linguaggio non serve per pensare ma anzi rallenta enormemente il processo cognitivo.

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