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Gli Stati Uniti hanno vietato le estrazioni petrolifere su una grande porzione di Alaska

Alla fine, il governo degli Stati Uniti ha limitato lo sviluppo dei combustibili fossili in una grande fetta di terre federali d’Alaska. Le future trivellazioni di petrolio e gas saranno in particolare vietate [1] in oltre 5 milioni di ettari della Riserva Nazionale Petrolifera dell’Alaska, la più grande distesa di terra pubblica della nazione. La misura rientra in un più ampio piano dell’amministrazione Biden volto a proteggere gli ecosistemi sensibili e la fauna selvatica. Una mossa senz’altro anche, e forse soprattutto, politica. La decisione, strizzando l’occhio all’elettorato chiave dei giovani sensibili alle tematiche ecologiche, giunge non a caso mentre si scaldano i motori della campagna presidenziale. Ad ogni modo, una buona notizia per l’Artico. Parallelamente, gli Interni USA hanno anche annunciato che bloccheranno la realizzazione di una controversa infrastruttura stradale, cruciale per il funzionamento di una miniera di rame e zinco nel nord dell’Alaska ma di elevato impatto per le comunità indigene e gli habitat della fauna selvatica. Entrambe le decisioni comportano diversi rischi politici e legali per l’amministrazione democratica. In particolare, si prevede che i nuovi vincoli per la Riserva Nazionale di Petrolio porteranno ad una serie di ricorsi da parte delle aziende produttrici di combustibili fossili.

La National Petroleum Reserve-Alaska, con i suoi oltre 9 milioni di ettari, è una delle aree federali di maggior valore ecologico. Costituisce ad esempio un rifugio critico per decine di migliaia di caribù in migrazione, oltre che per orsi polari, grizzly, trichechi e uccelli acquatici. Il lago Teshekpuk, nella parte orientale della riserva, è uno dei luoghi più importanti per gli uccelli acquatici dell’intero Artico. Le zone umide ad esso adiacenti fungono inoltre da aree di riproduzione per diversi tipi di uccelli costieri, tra cui figurano anche specie a rischio. La riserva, tuttavia, è anche una delle aree più promettenti in termini di sviluppo petrolifero onshore degli interi Stati Uniti. Non a caso, due settimane prima di lasciare l’incarico, il Presidente Donald Trump aveva cercato di aprire la riserva al leasing di petrolio e gas, affermando che ciò avrebbe reso gli USA meno dipendenti dalle fonti energetiche estere. Nonostante diversi tentennamenti, l’amministrazione Biden ha alla fine invertito la rotta. Tutto è partito con una proposta di legge pubblicata lo scorso anno, con la quale il Dipartimento degli Interni chiedeva di designare circa 5 milioni di ettari della riserva come “aree speciali” in cui limitare la futura estrazione di petrolio e gas.

La norma finale approvata in questi giorni è molto simile alla proposta inziale. E come questa, ad esempio, non riguarderà i contratti di locazione esistenti nella riserva e nemmeno il controverso progetto di perforazione petrolifera Willow, un progetto fossile della ConocoPhillips approvato lo scorso anno nonostante le dure critiche degli ambientalisti. Del valore di 8 miliardi di dollari, il Willow Project interesserà per decenni un’area di 930 mila chilometri quadrati nel nord dell’Alaska, portando all’estrazione di ben 180 mila barili di petrolio al giorno da oltre 200 pozzi distribuiti su tre piattaforme di perforazione. Al riguardo, le organizzazioni ambientaliste e le comunità locali di nativi americani hanno da subito sostenuto che le trivellazioni contribuiranno a deteriorare ulteriormente le già complicate condizioni dell’ecosistema locale e rallenteranno la transizione verso combustibili più puliti. Il tutto, poi, violando gli obiettivi climatici ed ecologici che Biden si era imposto in campagna elettorale. Come magra consolazione, la decisione di dare il via libera al progetto Willow arrivava poco dopo la primissima dichiarazione di voler bloccare le trivelle nella Riserva ora definitivamente salvata dall’industria petrolifera.

[di Simone Valeri]