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Tecnofeudalesimo: il libro che spiega “cosa ha ucciso il capitalismo” (recensione)

È ora in commercio anche nel nostro Paese, tradotto in italiano e pubblicato dall’editore La Nave di Teseo, “Tecnofeudalesimo. Cosa ha ucciso il capitalismo”, il nuovo libro di Yanis Varoufakis. L’autore del volume, ex ministro delle finanze greco che sfidò la Troika, voce critica all’interno del panorama dei teorici dell’economia europea, impernia la sua narrazione attorno a una teoria di base, che vede nella presunta “morte del capitalismo” la mano di una sparuta schiera di grandi protagonisti dell’imprenditoria high-tech. I quali, dopo aver “privatizzato” il mondo del web, sono riusciti a estendere i loro tentacoli sulle vite di tutti i cittadini-utenti del globo, avendo mano libera per poter controllare in maniera pressoché indisturbata le leve della società contemporanea.

Secondo Varoufakis, da circa un ventennio primeggerebbe infatti una nuova classe di “signori feudali”, i proprietari del capitale cloud, che avrebbero piegato ai loro desiderata il capitale tradizionale, che ha sempre visto come propri “marchi di fabbrica” il profitto e il mercato. Una trasformazione strutturale, in cui grandi piattaforme come Amazon, Google o Apple non giocano più il loro ruolo nella cornice della logica del plusvalore dei loro dipendenti e della produzione di beni, bensì in quella di un “nuovo feudalesimo” in cui le rendite di cui godono le big tech sono assimilabili ai canoni che i vassalli medievali erano chiamati a corrispondere ai feudatari. Si parla, insomma, di veri e propri “affitti” che i produttori capitalisti, come spiega [1] lo stesso Varoufakis, «pagano ai proprietari non produttivi delle big tech in cambio dell’accesso ai loro feudi cloud». I “nuovi feudatari”, secondo l’autore, avrebbero approfittato dell’ingente quantità di denaro emessa dalle banche centrali in seguito alla crisi del 2008 per investire nel capitale cloud, che nei decenni successivi ha fatto la loro fortuna. Nello specifico, il politico ed economista greco sostiene che proprio la crescita del capitale cloud abbia provocato effetti deleteri sul mondo del lavoro, cambiandolo nel profondo. In primis, le trasformazioni intervenute avrebbero comportato ulteriore sfruttamento sul posto di lavoro fisico, ma anche la precarietà delle condizioni di chi lavora facendo arricchire piattaforme ormai potentissime come Amazon, Uber e Deliveroo, nonché, più in generale, la diminuzione della domanda aggregata nell’economia, che renderebbe l’intero sistema, fondato sull’interconnessione, sempre più incline alle crisi.

La potenza di fuoco del tecno-feudalesimo, secondo la tesi dell’autore, sprigiona dalla sua attitudine ad abolire la produzione di valore. Al contrario, esso lo estrae dai singoli micro-comportamenti messi in atto dai membri della società, ormai quasi del tutto ripiegata nell’universo digitale. «Nel tecno-feudalesimo, dobbiamo organizzare non solo i lavoratori delle fabbriche ma anche i servi della gleba cloud», ha spiegato lo stesso Varoufakis presentando i contenuti del suo saggio e cercando, al contempo, di fornire possibili vie d’uscita rispetto allo spaccato delineato all’interno dell’opera. «Dobbiamo creare alleanze con i vassalli capitalisti di piccole dimensioni, le cui piccole entrate vengono decurtate dai proprietari del capitale cloud. E, naturalmente, lottare per fermare le guerre che sono funzionali ai tecno-feudalismi concorrenti ma dannose per il futuro dell’umanità».

[di Stefano Baudino]