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Clima, il Tribunale di Roma ha bocciato la prima causa contro lo Stato Italiano

Dal Tribunale civile di Roma è arrivato lo stop alla prima causa avviata contro lo Stato italiano per inadempienza contro la crisi climatica. In primo grado, infatti, i giudici hanno pronunciato una sentenza secondo cui la causa, frutto della campagna “Giudizio Universale” – portata avanti da 203 ricorrenti tra associazioni e privati cittadini -, è inammissibile per difetto di giurisdizione. Nel nostro Paese, al contrario di quanto accade in altri Stati europei, non esisterebbero infatti tribunali in grado di esprimere un verdetto su questo tema. L’iter processuale era partito dopo un esposto presentato contro lo Stato italiano da 24 associazioni, 17 minori e 162 adulti, che nell’estate del 2021 unirono le forze per chiedere azioni concrete al fine di contrastare il riscaldamento globale. Ora, in seguito al verdetto del Tribunale, i coordinatori della campagna promettono battaglia, anticipando che impugneranno la decisione.

I ricorrenti, in particolare, chiedevano [1] che allo Stato possa essere imposto di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 92%, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030. In risposta alla denuncia, ricordano i giudici all’interno della sentenza, si è costituita la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che “pure evidenziando la consapevolezza da parte dell’Amministrazione convenuta, e più in generale delle autorità italiane, delle gravi problematiche indicate dagli attori”, ha eccepito “l’inammissibilità della domanda svolta” e “il difetto di giurisdizione del giudice ordinario”, nonché “il difetto di legittimazione ad agire dei singoli cittadini e delle associazioni attoree titolari di un mero interesse semplice e di fatto, non qualificato, né differenziato da quello della collettività generale” e “l’insussistenza di una responsabilità dello Stato, in mancanza di una obbligazione civile degli Stati nei confronti dei singoli riguardo agli interventi da adottare e stabiliti dalle fonti sovranazionali, a fronte del carattere planetario del fenomeno del surriscaldamento globale”. Il governo ha inoltre precisato che la richiesta di condanna avrebbe comportato una “inammissibile intrusione del potere giudiziario nell’ambito delle competenze del Parlamento e del Governo, con ciò violando il superiore principio della separazione dei poteri”. Esprimendosi sulla controversia, il Tribunale ha, di fatto, dato ragione all’esecutivo, affermando [2] che l’interesse di cui i ricorrenti hanno invocato la tutela risarcitoria “non rientra nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati”, poiché “le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico […] rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici“, non essendo dunque “sanzionabili nell’odierno giudizio”. I giudici concludono dunque sancendo le domande attraverso cui gli attori chiedono di accertare la responsabilità dello Stato e di condannarlo all’adozione delle necessarie iniziative per l’abbattimento delle emissioni entro il 2030 sono “inammissibili per difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale adito”.

In tutto il mondo, sono oltre mille i casi legali in corso relativi alla crisi climatica. E qualcuno ha anche riscosso particolare successo, come accaduto in Germania, dove la Corte costituzionale tedesca ha obbligato il governo di Berlino a cambiare la propria legge sul clima ordinandogli di renderla più severa e ambiziosa, ma anche nei Paesi Bassi e in Irlanda. Qualcosa che, evidentemente, in Italia non potrà accadere, almeno in tempi brevi. «Si tratta di un’ occasione persa per le istanze sociali ed ambientali nel nostro paese – ha dichiarato [3] Marica Di Pierri, portavoce dell’organizzazione A Sud e co-coordinatrice della campagna “Giudizio universale” – ma la volontà di non esprimersi del tribunale di Roma non comporta che non ci siano i presupposti per una condanna dello Stato. Non possiamo negare di essere delusi dall’esito del processo ed è certo che impugneremo la decisione». Il team legale che ha seguito la causa, composto da avvocati e giuristi appartenenti alla Rete legalità per il clima, si è detto convinto che la pronuncia si ponga «palesemente in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e con la CEDU, strumenti di tutela che non contemplano limiti di accesso al giudice nelle questioni climatiche, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di numerosi Stati europei». Secondo i legali, la sentenza sarebbe «contraddittoria», poiché «da un lato, riconosce la gravità e urgenza letale dell’emergenza climatica, dall’altro, però, statuisce che in Italia non esisterebbe la possibilità di rivolgersi a un Giudice per ottenere tutela preventiva contro questa situazione, nonostante siffatta tutela sia stata riconosciuta dalla Corte costituzionale». Per questo motivo, sussisterebbero dunque «tutti i presupposti per impugnarla»

[di Stefano Baudino]