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Cosa mettono in prima pagina i giornali di oggi pur di non parlare di Assange

Se foste uno dei quotidiani più venduti in Italia e aveste a disposizione non uno, ma ben due corrispondenti in quel di Londra, dove si sta attendendo il verdetto dell’Alta Corte britannica sull’estradizione di Julian Assange, che articolo fareste loro scrivere? Il buon senso imporrebbe una cronaca dettagliata sull’attesa della sentenza sul destino fondatore di Wikileaks… Invece, stamattina, una rassegna stampa dettagliata ci regala la cronaca dal mondo alla rovescia, come se le redazioni dei quotidiani del Belpaese avessero deciso all’unisono di disinteressarsi della vicenda, per focalizzarsi su bel altre notizie. A chi interessa, dopotutto, la possibile estradizione di Assange? Evidentemente non alle redazioni dei quotidiani italiani. È così che scopriamo che il cuore della redazione di Repubblica [1] batte non per l’attivista australiano, ma per una iconica artista: Yoko Ono. Ebbene sì: Repubblica ha preferito mandare i propri corrispondenti, Castaldo e Guerrera, a Londra. E non alla sede dell’Alta Corte britannica dove si sta decidendo il futuro del giornalismo libero in Occidente, bensì alla mostra della musa e vedova dell’ex leader dei Beatles, John Lennon. Insomma, la controversa artista giapponese – co-autrice di Imagine – scavalca l’interesse per il destino di Assange e conquista la prima pagina del quotidiano diretto da Maurizio Molinari.

Che il giornalismo in Italia – con poche eccezioni, per esempio, Il fatto quotidiano e L’Unità che nella giornata di oggi aprono dando attenzione al caso – soffra nel dare voce alla causa di Assange è noto da tempo. Anche se, come vedremo, nei rari casi in cui ne parlano lo fanno in modo talmente impreciso e prevenuto da riuscir a far rimpiangere i pettegolezzi da tabloid.

La recente morte di Navalny [2], invece di accendere i riflettori sulla possibile estradizione del fondatore di Wikileaks, che rischia 175 anni di prigione negli USA, ha focalizzato l’isteria mediatica su fantasiose ricostruzioni e complotti (ovviamente, in assenza di prove) sulla morte del politico e blogger russo, sfruttando la ghiotta occasione per attaccare il Cremlino, con i soliti titoli altisonanti: “Salvini, la voce di Mosca” (la Repubblica); “Il pizzino di Putin all’Italia” (La Stampa); “Putin prova ad avvelenare l’Italia” (Il Giornale).

Ora che sappiamo che anche il nostro Paese rischia di finire “avvelenato” con qualche strana tossina e che lo spettro delle liste dei putiniani d’Italia è pronta a risgusciare fuori dal cassetto dal Corriere, dove stava facendo le ragnatele, per tenere alta l’asticella del terrorismo mediatico, Libero ci regala un titolo più dimesso rispetto alla consueta sobrietà che lo contraddistingue: “Via libera ai taxi del mare” (“L’incredibile sentenza” si legge nell’occhiello). Assange lo troviamo relegato nell’editoriale del direttore della testata, Daniele Capezzone, che ci tiene a sottolineare che il fondatore di Wikileaks “non è il Navalny dell’Occidente”: su di lui, si è detto tutto e il contrario di tutto, ci spiega il direttore di Libero, che ammette – a scanso di equivoci – di sentirsi più vicino a chi vede Assange come un “traditore”, e un uomo che “ha messo a rischio le vite di numerosi occidentali”, anziché a chi lo considera come un eroe. E non avevamo dubbi a riguardo.

Sulla stessa linea di pensiero di Capezzone, troviamo Giuliano Ferrara sul Il Foglio, che nell’articolo dal titolo emblematico, “Navalny e Assange, storie agli antipodi [3]”, ricorda che Navalny “ha sfidato un regime sanguinario”, mentre Assange è un “tizio” che “tenta di sottrarsi alle leggi mettendo a repentaglio l’incolumità di chi si batte per la nostra libertà”. Da ex informatore a libro paga della CIA (come confermò lui stesso [4]), Ferrara trasuda ancora una forma di apparente compiacimento per la persecuzione dell’attivista e giornalista australiano. Dalle colonne dello stesso quotidiano, Adriano Sofri, in maniera più felpata, deplora l’eccesso di spazio dedicato ad Assange (ci piacerebbe ci spiegasse dove) e precisa che “Assange piangerà anche dell’abuso che si fa del suo nome per rimpicciolire quello di Navalny”. Bizzarro che si scriva questo, dato che nel giorno del verdetto sulla sorte di Assange, i quotidiani sbattono in prima pagina Putin, Navalny, Salvini, gli immigrati, Yoko Ono e persino Roberto Baggio.

E già, perché, sempre in prima pagina, trovano spazio anche notizie di importanza vitale per i lettori italiani, come “Mio papà Roby Baggio e lo sbarco su Instagram” (sul Corriere della sera [5]). Qua la figlia dell’ex calciatore, di professione social media manager, ci informa che il Divin Codino ha messo da parte la sua tradizionale riservatezza per aprire un profilo su Instagram. Siamo certi che i lettori del Corriere avranno apprezzato l’enfasi e il risalto dati questa grandiosa notizia, al posto della cronaca sulle vicissitudini di quel tizio australiano dal caschetto biondo.

Le profondità delle analisi dei commentatori mainstream, Libero e Il Foglio in primis, fanno in effetti rimpiangere le prime pagine di Repubblica e del Corriere: meglio distrarsi con Yoko Ono e con Roberto Baggio, anziché leggere certe ricostruzioni bizzarre su un giornalista che sta sacrificando la sua vita per amore della verità. La verità. Questa sconosciuta per la maggioranza dei “colleghi”, che cancellano ciò che potrebbe turbare i sonni loro e dei loro padroni, e infestano i quotidiani con indiscrezioni, pettegolezzi e la solita buona dose di terrorismo mediatico.

[di Enrica Perucchietti]