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Israele e Hamas discutono le condizioni della tregua, ma l’accordo sembra lontano

Trattative in corso tra Israele e Hamas per un accordo su un cessate il fuoco e il rilascio di prigionieri tra ambo le parti. Tra le prime voci di un imminente accordo, adesso filtrano sensazioni meno positive circa la possibilità di raggiungerlo. Sebbene il Qatar abbia in un primo momento detto che Hamas aveva accettato la proposta israeliana, successivamente l’organizzazione palestinese ha presentato una controproposta che Israele sta adesso esaminando. La distanza tra le parti riguarda l’entità del cessate il fuoco: Israele vorrebbe circa 40 giorni in cui poter scambiare i prigionieri mentre Hamas ha proposto 135 giorni che porteranno alla conclusione del conflitto.

In risposta a una proposta inviata nei giorni scorsi da Israele – e sostenuta dagli USA – ad Hamas, per tramite dei mediatori Qatar ed Egitto, l’organizzazione palestinese ha inviato ad Israele la propria controproposta, non avendo accettato, evidentemente, la proposta avanzata. Hamas ha proposto un piano di cessate il fuoco strutturato in tre fasi e della durata di 135 giorni, al termine dei quali, secondo il piano offerto, si arriverebbe ad una cessazione completa della guerra. Secondo una bozza di documento visionata [1] da Reuters, la controproposta di Hamas prevede tre fasi della durata di 45 giorni ciascuna. Il piano prevede, nella prima fase, un primo scambio di prigionieri: Hamas libera tutte le donne e tutti i maschi sotto i 19 anni, oltre anziani e malati, in cambio della liberazione di tutte le donne e di tutti i bambini palestinesi che si trovano nei centri di detenzione israeliani. Nella seconda fase, la proposta di Hamas prevede di scambiare i rimanenti prigionieri maschi mentre nella terza fase di scambiare le salme dei morti. Se il piano sarà attuato in maniera corretta, alla fine della terza fase Hamas si aspetta che le parti abbiano raggiunto un accordo sulla fine della guerra.

Il Qatar starebbe cercando [2] di ammorbidire le richieste di Hamas per un cessate il fuoco duraturo, specie in riferimento al numero di prigionieri palestinesi che vuole vengano liberati da Israele. Il segretario di Stato americano Antony Blinken, alla sua quinta visita nella regione dallo scoppio della guerra, sta cercando di far avanzare i colloqui per il cessate il fuoco, spingendo per un più ampio accordo post-bellico in cui l’Arabia Saudita normalizzerebbe le relazioni con Israele in cambio di un «percorso chiaro, credibile e limitato nel tempo per la creazione di uno Stato palestinese». Il ministero degli Esteri di Riyadh ha comunicato: «Non ci saranno relazioni diplomatiche con Israele a meno che non venga riconosciuto uno Stato palestinese indipendente ai confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale, e l’aggressione israeliana alla Striscia di Gaza non si fermi».

La pressione per un cessate il fuoco è aumentata mentre le forze israeliane si spingono verso la città di Rafah, al confine meridionale di Gaza con l’Egitto, dove più della metà della popolazione del territorio assediato si è rifugiata. Le Nazioni Unite hanno avvertito [3] di “perdite di vite umane su larga scala” se le truppe israeliane attaccheranno l’area che ospita 1,4 milioni di persone.

La distanza tra le proposte sembra molta, viste anche le dichiarazioni e le proposte avanzate dal governo israeliano, retto da una coalizione con forte componente estremista che non accetterebbe da Netanyahu anche la semplice apertura alla fine delle ostilità, figurarsi la creazione di una Stato palestinese (che neanche il Primo Ministro accetterebbe che venisse istituito). Inoltre, ricordiamo che Netanyahu ha bisogno di rimanere al governo per godere dell’immunità che altrimenti perderebbe, dovendo quindi affrontare tutti i suoi guai giudiziari.

[di Michele Manfrin]