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Il cittadino perquisito e sospeso per dei post pro-Palestina è stato definitivamente licenziato

È stato infine licenziato il giovane assistente all’educazione algerino di una scuola di Roma che tre settimane fa era stato sospeso dal lavoro per aver pubblicato alcuni post a favore della Palestina. L’Indipendente è stato il primo giornale in Italia a raccontare la sua storia: Yussef (nome di fantasia) si trovava in Italia da dieci anni come rifugiato politico e da sei era impiegato con contratto a tempo indeterminato presso un istituto della Capitale. In seguito alla pubblicazione di alcuni post a sostegno della causa palestinese, i poliziotti dell’Antiterrorismo avevano perquisito il suo appartamento e la scuola lo aveva sospeso dall’incarico. Ora è arrivata la notizia del licenziamento: l’istituto ha infatti comunicato a Yussef la “radicale insussistenza delle condizioni oggettive” per il proseguimento del rapporto di lavoro, in ragione (e ciò suona incredibilmente ironico) del “multiculturalismo”, della “convivenza pacifica”, del “dialogo” e del “rispetto delle diverse posizioni”.

Tre settimane fa, i poliziotti della Sezione Antiterrorismo erano piombati a casa di Yussef – completamente incensurato sia in Italia che in Algeria – al fine di effettuare una “perquisizione urgente” ai sensi dell’art. 41 del T.U.L.P.S. (dunque senza preventiva autorizzazione del magistrato), alla ricerca di armi ed esplosivi. E nonostante la perquisizione abbia dato esito negativo, non essendo stato rinvenuto alcunché nella camera di Yussef – lo abbiamo certificato [1] leggendo direttamente il verbale –, il giovane è stato portato in Questura, dove, come ha raccontato, gli sarebbe stato intimato di far visionare ai poliziotti i contenuti del suo cellulare, tenendolo nelle sue mani. Gli uomini della polizia gli avrebbero dunque chiesto conto di due contenuti pubblicati sui social network Whatsapp e Instagram – un’immagine dei bambini palestinesi massacrati a Gaza accompagnata la scritta “fino a oggi 10.000 bambini morti e una foto del leader di Hamas – nonché un’immagine, rinvenuta nella sua galleria fotografica, ritraente Ursula Von der Leyen. Immagini che, secondo il racconto del ragazzo, sarebbero state fotografate dai poliziotti. Tornato a casa, Yussef ha poi ricevuto una chiamata da parte del preside della sua scuola: il ragazzo ha spiegato che il suo capo gli ha comunicato di non tornare sul posto di lavoro, dal momento che la polizia gli avrebbe chiesto di tenerlo lontano per “motivi di sicurezza”. La Polizia, nei giorni successivi alla nostra pubblicazione, avrebbe smentito questo particolare, affermando di non aver fatto segnalazioni alla scuola. L’ufficializzazione dell’interruzione temporanea del rapporto di lavoro è poi arrivata con una ratifica via mail. A distanza di una settimana, senza attendere alcuna inchiesta formale, ecco pervenire [2] la raccomandata di licenziamento.

Da un’interrogazione parlamentare indirizzata dal senatore di AVS Peppe De Cristofaro al Ministro dell’Interno sul caso Yussef il 31 gennaio, partorita in seguito all’uscita del nostro articolo, è emerso come, in data 26 gennaio, all’algerino sarebbe stato “notificato l’avvio del procedimento di revoca dello status di rifugiato” con “contestuale invito di convocazione per il giorno 1° febbraio 2024 presso la commissione nazionale per il diritto di asilo”, nonché “verbale di elezione di domicilio per il reato previsto e punito dal cpv dell’art. 612 del codice penale” (minaccia) e “l’art. 604-ter del codice penale” (circostanza aggravante generica, applicabile a tutti i reati commessi con le finalità di “discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità”). «Se è vero che la tutela accordata alla libertà di domicilio non è assoluta, ma trova dei limiti stabiliti dalla legge ai fini della tutela di preminenti interessi costituzionalmente protetti […] nella vicenda, a parere dell’interrogante, sembrerebbe essere carente il presupposto dell’acquisizione di notizia, anche per indizio, dell’esistenza di armi, munizioni o materie esplodenti», ha detto [3] nella sua interrogazione il senatore De Cristofaro. «Conclusa la perquisizione – ha continuato il senatore – Seif è stato, inoltre, condotto in questura nonostante fosse possibile compilare il verbale sul posto, imponendogli un’ulteriore ingiustificata vessazione; analogo valore hanno anche la richiesta di visionare il telefono e le chat in esso contenute, pena la sua sottoposizione a provvedimento ablativo, a riprova ulteriore, a parere dell’interrogante, della finalità della perquisizione e dell’assenza dei presupposti di legge». De Cristofaro ha dunque chiesto sul punto spiegazioni al ministro, domandandogli se non ritenga opportuno «che le attività investigative, in particolare quelle maggiormente invasive, non siano adottate per limitare il diritto di libertà di pensiero e di parola, soprattutto nell’attuale fase di crisi internazionale, in cui quotidianamente ogni cittadino è testimone mediato delle atrocità che avvengono nei teatri di guerra a scapito della popolazione civile» e invitandolo ad «avviare ogni opportuna iniziativa al fine di annullare la procedura di revoca dello status di rifugiato, in quanto provvedimento abnorme rispetto ai fatti accaduti».

[di Stefano Baudino]