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In Nuova Zelanda migliaia di Maori stanno protestando per i propri diritti

Lo scorso finesettimana, in Nuova Zelanda, oltre diecimila Māori, tra capi tribù e le loro famiglie, si sono ritrovati per il primo raduno nazionale (hui) da dieci anni a questa parte. L’evento è stato convocato dal loro re nella città di Nguarawahia, nel distretto di Waikato, per protestare contro le politiche del neoinsediato governo del Paese, le quali, denunciano i Māori, rischiano di mettere a repentaglio decenni di conquiste nell’ambito dei diritti e del benessere di questa popolazione indigena. La coalizione di centro-destra, infatti, ha mostrato l’intenzione di smantellare le politiche di tutela messe in pratica dai governi precedenti, in particolare quelle che incoraggiano l’utilizzo della lingua Māori e cercano di migliorare la condizione delle popolazioni indigene e i loro diritti. L’incontro di questo fine settimana è stato solo l’ultimo di una serie di iniziative messe in campo in questi mesi (e che non accennano a fermarsi), da quando il governo ha reso noti i propri piani. Il primo ministro, Christopher Luxon, ha assicurato [1] che terrà conto delle proteste Māori e che l’unica intenzione del suo governo è dare pari diritti a tutti i neozelandesi.

Il governo è salito in carica dopo le elezioni dell’ottobre 2023. È formato da una coalizione guidata da Luxon (del Partito Nazionale della Nuova Zelanda) insieme a Winston Peters, leader populista del New Zealand First, e al libertario David Seymour, del partito ACT New Zealand. Dopo la sua salita al potere, la coalizione ha annunciato [2] che rivedrà circa una dozzina di politiche che riguardano i Māori. In particolare, l’intenzione sarebbe quella di cancellare le iniziative volte a migliorare la situazione sanitaria, ridurre drasticamente l’utilizzo della lingua Māori nel servizio pubblico e, in generale, rivedere del tutto le politiche «basate sulla razza». Il governo ha inoltre aperto alla possibilità di rivedere il Trattato di Waitangi, documento di fondamentale importanza per la popolazione Māori siglato da questi ultimi e dalla Corona inglese nel 1840, che sancisce i diritti di questa popolazione indigena. Per tale motivo, quando Kiingi Tuheitia Pootatau Te Wherowhero VII (conosciuto anche solo come Kiingi Tuheitia), re della popolazione Māori dal 2006, ha convocato i membri delle tribù, lo scorso week end, questi sono accorsi in numerosissimi: qualcuno è giunto a piedi, qualcuno con il pullman, altri persino a cavallo. In moltissimi portavano con sè le bandiere rangatiratanga (ovvero le bandiere dell’autodeterminazione, di colore rosso, bianco e nero, che rappresentano la popolazione Māori). L’intento era «unificare la nazione e garantire che tutte le voci siano ascoltate nel chiedere conto al nuovo governo di coalizione». Luxon non vi ha preso parte, mentre a parteciparvi è stato il ministro per lo Sviluppo Māori, Tama Potaka, assieme al deputato Dan Bidois.

Le proteste sembrano aver convinto il partito nazionale neozelandese a rinunciare [3] a qualsiasi possibilità di referendum per la revisione del Trattato di Waitangi, come inizialmente ipotizzato nei programmi di governo (una revisione fortemente voluta da Seymour, leader di ACT, che avrebbe voluto la riscrittura del documento affinchè meglio si adattasse allo status moderno della Nuova Zelanda in quanto «democrazia liberale multietnica»). Per i Māori, le modifiche li avrebbero privati di uno spazio di riconoscimento all’interno del loro Paese. Seymour, a tal proposito, si è detto convinto che il partito di Luxon possa ancora cambiare idea. Gli indigeni non sono comunque intenzionati a cedere di un passo sui propri diritti e hanno annunciato [4] un hīkoi (marcia tradizionale) della durata di cinque giorni per il prossimo due febbraio, che percorrerà una distanza di 200 km da Capo Rēinga a Waitangi.

Secondo l’avvocato per i diritti indigeni Dayle Takitimu, il governo avrebbe assunto nei confronti degli indigeni Māori delle posizioni «suprematiste bianche», accuse definite dal ministro per lo Sviluppo Potaka «premature», pur riconoscendo la condizione di alienazione di buona parte della popolazione indigena. Dal canto suo, Kiingi Tuheitia, il re Māori ha dichiarato che «la migliore protesta che possiamo fare in questo momento è essere Māori», ovvero «essere chi siamo, vivere i nostri valori, parlare la nostra lingua, prenderci cura dei nostri bambini, dei nostri fiumi, delle nostre montagne, essere semplicemente Māori – Māori tutto il giorno, tutti i giorni, siamo qui, siamo forti».

[di Valeria Casolaro]