- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Licenziata perché non indossava la mascherina: il giudice dà ragione al supermercato

Era stata richiamata, sanzionata e poi licenziata per essersi rifiutata di indossare la mascherina chirurgica nei turni di lavoro, nonostante in quel momento – novembre del 2022 – non vigesse in tal senso un obbligo di legge, ma il giudice del lavoro di Venezia ha dichiarato corretto e legittimo il provvedimento dell’azienda. Protagonista della vicenda è Flavia Borella, che svolgeva l’attività di cassiera al supermercato Pam di Villorba (Treviso), la quale, mandata via dopo diciannove anni di lavoro, aveva impugnato il licenziamento per illegittimità, chiedendo che le venissero riconosciuti i danni e gli arretrati. Ma non c’è stato nulla da fare: il suo ricorso è stato respinto e Pam, il cui protocollo prevedeva l’utilizzo della mascherina anche una volta decaduto l’obbligo legislativo, ha vinto il contenzioso.

I fatti si sono verificati [1] in una fase che, a livello giuridico, si potrebbe definire transitoria. Sebbene l’obbligo di indossare le mascherine fosse venuto meno con la fine dello stato di emergenza, infatti, alla fine del 2022 era ancora in vigore il protocollo condiviso di regolamentazione delle misure di contrasto e contenimento del Covid negli ambienti di lavoro, che venne siglato nell’aprile del 2020 tra il governo e le parti sociali e fu più volte rinnovato. Anche a fine giugno 2022, con la previsione della possibilità, per il datore di lavoro, di introdurre la mascherina obbligatoria. Nello specifico, secondo il giudice del lavoro veneziano, “la scelta del datore di lavoro è proporzionata e risponde al criterio di precauzione”, mentre da parte dell’ex cassiera “il rifiuto si è caratterizzato per una provocatoria pervicacia che si è manifestata nel volere rimanere presente senza mascherina pur sapendo di non poter lavorare, nel riprendere gli altri colleghi e nell’aver convocato un gruppo di conoscenti che hanno creato scompiglio riprendendo lavoratori e clienti”. Nella sentenza si ritiene che l’azienda non “abbia adottato un atteggiamento persecutorio o discriminatorio” nei confronti di Borella, “né che abbia trattato la ricorrente in modo diverso dai colleghi e dalle colleghe, essendo chiaramente emerso dalla documentazione dimessa dall’azienda che chi non voleva mettere la mascherina è stato sanzionato e dalle deposizioni testimoniali che chi veniva visto la mascherina abbassata veniva ripreso”. Il rifiuto della ricorrente – si legge nella pronuncia – “si appalesa illegittimo in quanto l’obbligo imposto dal datore di lavoro di indossare le mascherine è stato determinato dalla esigenza di adempiere anche in tale settore agli obblighi di cui all’art. 2087 c.c.”, cioè quello [2] di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.  Dunque, scrive il giudice, “la massima sanzione espulsiva” appare “proporzionata alla reiterazione dell’inadempimento da parte della ricorrente e del complessivo comportamento tenuto”.

Ad ogni modo, la donna non è intenzionata a cedere e ha già reso noto che la sua battaglia giudiziaria continuerà. «È stata un’umiliazione grandissima – ha dichiarato Borella [3] -, mi hanno licenziato in tronco dopo ben diciannove anni di lavoro. Hanno voluto accanirsi su di me perché mi sono ribellata a delle regole senza senso, mi sono anche presentata al pronto soccorso in quattro occasioni perché la situazione mi faceva stare male. Una volta sono stata anche dai carabinieri per denunciare i miei responsabili per maltrattamenti. Comunque non è finita qui: insieme al mio avvocato stiamo presentando ricorso contro la sentenza che di fatto mi toglie il lavoro che amo». Borella, assistita dall’avvocato Ignazio Ardito, si appella in particolare all’articolo 32 della Costituzione, “che – ha detto la donna in tono di sfida – i miei datori di lavoro non sapevano neanche cosa indicasse”, in cui si afferma [4] che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. A manifestare sostegno e solidarietà nei confronti dell’ex cassiera è stata l’associazione “Resistere”, coordinata da Riccardo Szumski, ex medico ed ex sindaco del Comune veneto di Santa Lucia di Piave radiato dall’Ordine dei medici per le sue posizioni sui vaccini anti-Covid. “Da domani, invocando il principio di precauzione, sarà possibile imporre da parte delle aziende la mascherina in periodo influenzale o chissà per cosa altro – ha commentato [5] in una nota l’associazione -. Una prassi di tipo cinese, alla faccia della tutela dei diritti dei lavoratori e tralasciando il fatto che le mascherine non servono a nulla come documentato da vari studi e lavorare per ore con esse è controproducente per la salute umana”.

[di Stefano Baudino]