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I porti sono “Cosa Nostra”: un rapporto svela i ricchi affari dei clan negli scali italiani

Nel corso del 2022, nei porti italiani sono avvenuti 140 episodi criminali tra traffici di droga, sequestri di merce contraffatta o di contrabbando. In media, uno ogni tre giorni. Ad avere un ruolo nodale negli affari che ruotano attorno agli scali marittimi dello Stivale sono le associazioni criminali di stampo mafioso, ovvero la ‘Ndrangheta – che primeggia con ampio margine –, la Camorra e Cosa Nostra. Partecipano però attivamente anche altre organizzazioni criminali italiane, come i gruppi pugliesi, e straniere, in particolare albanesi, cinesi, messicane e nigeriane. Ad attestarlo è l’associazione antimafia Libera, all’interno di un nuovo report intitolato “Diario di bordo. Studio, dati e meccanismi delle proiezioni criminali nei porti italiani”, ufficialmente presentato venerdì nella sua sede romana. L’associazione denuncia come, su questo tema il dibattito politico appaia “ancora troppo timido”, sostenendo che serva rafforzare il “coordinamento tra autorità giudiziaria, forze dell’ordine, autorità pubbliche presenti nel porto e imprese private”, prima ancora che per reprimere il fenomeno, per prevenirlo.

Nel rapporto [1] si legge che, dei 140 casi, l’85,7% (120) “riguarda attività illegali di importazione di merce o prodotti”, il 7,9% (11) “attività illegali di esportazione di merce o di prodotti”, il 2,9% (4) “sequestri di merce in transito”, mentre il resto concerne “altri fenomeni illeciti non classificabili”. Tra le attività criminali enumerate, pochissime (4) “riguardano la proiezione nell’economia legale del porto”, mentre “in 136 casi si tratta di attività illecite”. Tra queste spicca il dato riferito al traffico di merce contraffatta (quasi la meta dei casi mappati, il 49,3%), cui seguono il traffico di stupefacenti con il 23,2% e il contrabbando con l’11,6%. Vengono poi registrati episodi inerenti illeciti valutari (5,8%), traffico illecito di rifiuti (2,9%), illecito finanziario e traffico di animali (entrambi al 2,2%), ricettazione (1,4%), traffico di armi e riciclaggio (entrambi al 0,7%). Sulla base di quanto rilevato dalla Direzione Investigativa Antimafia, possiamo constatare come, dal 2006 al 2022, la criminalità organizzata ha sfruttato per i suoi affari almeno 54 porti italiani, più di uno su sette, da Nord a Sud. Ad allungare i tentacoli sugli scali marittimi sono stati almeno 66 clan.

A ottenere la palma dell’organizzazione criminale più attiva in tal senso è ovviamente la ‘Ndrangheta, i cui gruppi operano in particolare nel traffico di stupefacenti, ma anche nel traffico di rifiuti, nel traffico di armi, nel contrabbando di sigarette e TLE, nel traffico di prodotti contraffatti, nelle estorsioni e nell’usura. Oltre a manifestarsi nei piccoli e grandi porti calabresi, la’Ndrangheta risulta attiva anche nei porti di Napoli, Salerno, Livorno, Venezia, e Trieste. Le proiezioni della criminalità calabrese, inoltre, sembrano coinvolgere anche tutti i porti della Liguria: Genova, La Spezia, Vado Ligure e Savona. A rappresentare lo snodo principale di questi traffici è, sicuramente, il porto calabrese di Gioia Tauro. Qui, solo tra il 2021 e il 2022, sono state sequestrate ben 38 tonnellate di cocaina (quasi il 94% di tutta quella sequestrata in Italia). “Basta fermarsi un attimo – scrive Libera – per calcolare il valore sulle piazze di spaccio di oltre 150 tonnellate di coca che una volta tagliate valgono ben 600 tonnellate per immaginare gli ingentissimi guadagni che stanno alla base del business”. Si parla, insomma, di “miliardi e miliardi di euro, molti di più di una finanziaria dello Stato, che drogano il mercato legale con flussi di economia illegale, condizionando i sistemi delle relazioni economiche e sociali del nostro Paese e non solo”. Aprendo il discorso alle altre organizzazioni italiane, si può registrare come Cosa Nostra sembri più interessata ad “attività legate alla cantieristica navale” nei porti di Palermo e La Spezia, mentre i gruppi criminali pugliesi guardino in particolare al “controllo di attività economiche” a Giovinazzo o a “imprese legate ai servizi di trasporto marittimo e di vigilanza privata” nel porto di Bari.

La modalità di recupero dello stupefacente più utilizzata dalla criminalità organizzata, si spiega nel rapporto, è quella del rip-on/rip-off, in cui “un’imbarcazione commerciale legale è sfruttata per il trasporto di stupefacente (solitamente cocaina) dal paese di origine o dal porto di transhipment fino al porto di destinazione, senza che necessariamente l’armatore e la compagnia marittima ne siano a conoscenza”. Questa pratica “presuppone la disponibilità da parte di un gruppo di persone all’interno del porto” che, sulla base al proprio ruolo e alle proprie capacità, riescono a “recuperare dai contenitori la droga che, solitamente, è occultata o insieme alla merce o in appositi borsoni posti a ridosso della porta”. Si sono, infatti, venute ciclicamente a creare “vere e proprie squadre di recupero” nei principali scali marittimi di destinazione della droga, tra cui Genova, Gioia Tauro, Livorno e Vado Ligure.

Ad ogni modo, questo inquietante spaccato non riguarda soltanto il nostro Paese. Nel rapporto si spiega infatti che, nella sua relazione di quest’anno, approfondendo il capitolo riferito ai traffici internazionali di cocaina via mare, la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (DCSA) ha ricostruito che nel 2020 “sono stati realizzati 520 sequestri di cocaina, segnalati da 12 Stati Membri dell’UE (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna) e da 3 Paesi al di fuori dell’UE (Russia, Ucraina, Regno Unito)”. I numeri che emergono dall’analisi sono particolarmente eloquenti: “l’entità della cocaina sequestrata ammonta a 282 tonnellate, rinvenuta in 75 porti diversi, distribuiti come segue: 301 sequestri (171 tonnellate) in 35 porti dell’UE;11 sequestri (2 tonnellate) in 6 porti in Paesi extra UE; 206 sequestri (108 tonnellate) in 32 porti dell’America Latina;1 sequestro (0,5 tonnellate) in un porto dell’Africa;1 sequestro (0,5 tonnellate) in un porto del Nord America”. Nell’anno segnato dalla pandemia, dunque, ben “108 tonnellate di cocaina, dirette in Europa, sono state sequestrate in porti di partenza situati in America Latina e circa 171 tonnellate (circa l’80% della cocaina intercettata in Europa, pari a 213 tonnellate) sono state sequestrate nei principali porti container dell’Unione Europea”.

Chiudendo il rapporto, Libera evidenzia [2] come, di fronte a questi dati, sia indispensabile rafforzare il coordinamento tra le autorità preposte al controllo e alla repressione del fenomeno. Secondo l’associazione, infatti, “una maggiore consapevolezza da parte degli attori che operano in ambito portuale – pubblici e privati – dei rischi criminali e corruttivi che caratterizzano la vita degli scali” costituisce “la precondizione per la promozione di contesti meno predisposti a scambi illeciti, nonché per la predisposizione di politiche di sviluppo coerenti con queste finalità”.

[di Stefano Baudino]