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L’incidente in Calabria fa scattare la rabbia dei ferrovieri: è sciopero nazionale

Ritardi, code alle stazioni, cancellazioni. I lavoratori del settore ferroviario, dopo l’ennesimo incidente mortale che è costato la vita a due persone, hanno deciso di incrociare le braccia per chiedere maggiori tutele. Ieri è toccato al personale iscritto ai sindacati FILT CGIL, FIT CISL, Uiltrasporti, UGL Ferrovieri, ORSA trasporti e Fast CONFSAL, per un’adesione che in certe stazioni ha toccato punte fino al 100%. Oggi invece hanno manifestato il proprio dissenso i lavoratori iscritti ai sindacati di base CUB trasporti, CAT, SGB e USB, con uno sciopero che durerà fino alle 21 di questa sera. In entrambi i casi le organizzazioni sindacali hanno indetto l’astensione dal lavoro senza preavviso, facendo appello all’articolo 2, comma 7, della legge 146/90 [1], secondo cui le disposizioni relative al preavviso minimo e all’indicazione della durata non si applicano per le proteste “in difesa dell’ordine costituzionale o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Scelta che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, ormai un habitué della precettazione [2], non ha digerito, parlando di “scene indegne alle stazioni”.

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Ritardi e cancellazioni nel trasporto ferroviario, 30 novembre 2023.

Lo scorso martedì sera, a Corigliano-Rossano (Cosenza), un treno regionale ha travolto un camion rimasto bloccato all’interno del passaggio a livello, uno dei sei disseminati sul territorio comunale. In seguito all’incidente, su cui sta indagando la Procura di Castrovillari, sono morte due persone: la capotreno del convoglio e il conducente del camion. I sindacati hanno immediatamente risposto con uno sciopero, denunciando “un sistema infrastrutturale dimostratosi ancora una volta inadeguato per utenza e lavoratori”. L’accusa è rivolta principalmente alla mancata installazione del PAI-PL, sistema di sicurezza in grado di comunicare presenze anomale tra le sbarre abbassate, mantenendo il segnale semaforico al rosso e consentendo ai treni di potersi fermare prima di un eventuale impatto. Il prezzo per la realizzazione di tale sistema di sicurezza, secondo quanto riportato nel tariffario ufficiale, ammonta a meno di 50 mila euro.

Sul treno regionale 5677, partito da Sibari e diretto a Catanzaro, erano presenti altre dieci persone, ferite solo lievemente. Un numero all’apparenza strano, esiguo, considerato l’orario e la tratta da “pendolari”. Un numero che però acquisisce un senso se si tiene conto dello stato dei convogli nel Mezzogiorno, soprattutto nelle (tante) tratte dove l’alta velocità è solo un sogno e a regnare è la legge del poco: poche corse, pochi (e vecchi) vagoni, poco ammodernamento del pluridecennale materiale rotabile. Abbondano invece i tempi di percorrenza e i disagi per i cittadini, lesi nella tutela del principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione).

Stando agli ultimi dati ISPRA [4], la rete ferroviaria italiana è composta da 17.333 chilometri di binari, concentrati principalmente al nord in una quota pari al 43 per cento del totale (7.538 chilometri). Seguono il sud e le isole, con una rete di 5.714 chilometri, mentre chiude la classifica il centro con 3.457 chilometri di binari. La rete ferroviaria italiana può essere misurata anche dal punto di vista qualitativo: è possibile distinguere, seguendo un decrescendo tecnologico, tra rete elettrificata a binario doppio, rete elettrificata a binario semplice e rete non elettrificata, la predominante al sud e nelle isole, dove copre il 42 per cento del totale. Al centro e al nord la quota crolla, attestandosi rispettivamente al 20 al 22 per cento. Come riporta Legambiente [5], in Puglia, Basilicata e Campania l’età media del materiale rotabile è pari a 19,7 anni. Seguono Sicilia e Calabria, con un’età media di 19,1 e 18,9 anni, a fronte di una media nazionale pari a 15,4.

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Treno delle Ferrovie dello Stato in Sicilia.

Il sistema ferroviario italiano non brilla. Lo fa ancora meno nel Mezzogiorno, che paga decenni di investimenti statali mancati e politiche locali inefficaci, tra dispersione di risorse e cantieri mai realizzati. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dal sapore di ultimatum per un’Italia a velocità unica, continua ad attirare critiche per i ritardi accumulati. «Le misure che potrebbero non rispettare le tempistiche prefissate, e quindi a rischio fallimento risultano essere ancora 78, con una dimensione finanziaria di oltre 83 miliardi, di cui 39 (il 47% circa) riguardanti interventi localizzati nelle regioni del sud Italia», ha dichiarato [7] il segretario confederale della CGIL Christian Ferrari lo scorso settembre, al termine di un confronto con il governo. Alla Camera dei Deputati è stato di recente presentato [8] il Rapporto annuale sulle infrastrutture strategiche prioritarie 2023, in cui vengono delineati il loro costo, pari a 448 miliardi di euro, e la relativa copertura finanziaria, che ammonta però al 70 per cento del totale: 315 miliardi di euro. «Tutto il sistema avrebbe dovuto puntare a maggiori investimenti» nel Mezzogiorno, «invece abbiamo 181 miliardi di euro al nord contro i 158 al sud», ha dichiarato il presidente di ANAC Giuseppe Busìa, in riferimento alla ripartizione dei fondi per le infrastrutture strategiche prioritarie.

[di Salvatore Toscano]