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L’assurda vicenda di Beniamino Zuncheddu: libero dopo 33 anni di carcere senza prove

L’allevatore Beniamino Zuncheddu ha passato 33 anni in galera con l’accusa di avere consumato una strage, uccidendo tre persone e ferendone una quarta, nel gennaio del 1991 a Sinnai (Cagliari). Ma ora l’uomo, che ha ormai 58 anni e si è sempre dichiarato innocente, è all’improvviso tornato [1] libero. I giudici della Corte d’Appello di Roma hanno infatti accolto la richiesta di sospensione della pena presentata dall’avvocato di Zuncheddu, Mauro Trogu, ritenendo non più attendibile la testimonianza del suo principale accusatore, che è poi l’unico superstite della strage. Il processo di revisione si protrarrà fino a dicembre, ma nelle ultime udienze è già stato certificato che a influenzare in maniera indebita le indagini fu un poliziotto: colui che indicò implicitamente Zuncheddu come responsabile del delitto mostrando al super-testimone che scampò alla morte una sua fotografia.

Nella strage di Sinnai finirono ammazzati il 56enne Gesuino Fadda e suo figlio Giuseppe, di 24 anni, che erano i proprietari di un ovile, nonché il 55enne Ignazio Puxeddu, un loro dipendente. Ad essere ferito fu invece il genero di Gesuino, l’allora 29enne Luigi Pinna. Secondo la ricostruzione degli inquirenti che lavorarono al caso, il killer uccise prima con un colpo di fucile alla faccia Gesuino Fassa all’ingresso dell’ovile, per poi dirigersi verso il recinto degli animali e sopprimere suo figlio. In un secondo momento, dopo aver fatto ingresso in una piccola struttura, l’assassino sparò a Puxeddu – che morì – e a Pinna, che riuscì invece a sopravvivere. A causa di una serie di contrasti precedentemente intercorsi tra i Fadda e l’allora allevatore Zuncheddu, quest’ultimo, che non riuscì a fornire un alibi convincente ai magistrati, venne arrestato in quanto principale indiziato. Nemmeno due mesi dopo il delitto, la svolta: Pinna, che in prima battuta aveva detto di non essere riuscito a riconoscere l’uomo poiché il suo volto era coperto, accusò direttamente Zuncheddu di essere l’autore degli omicidi. In realtà, quest’atto fu la conseguenza [2] di un colloquio avuto con Mario Uda, poliziotto che stava seguendo le indagini, che gli mostrò una foto di Zuncheddu e lo additò come colpevole della strage. Sulla base della testimonianza di Pinna, l’allevatore venne poi condannato all’ergastolo. Movente della strage: “sconfinamenti di bestiame”.

Eppure, lo scorso 14 novembre, a quasi 33 anni dalla strage, Pinna ha ritrattato. E lo ha fatto con parole [3] molto chiare: «Prima di effettuare il riconoscimento dei sospettati, l’agente di polizia che conduceva le indagini mi mostrò la foto di Beniamino Zuncheddu e mi disse che il colpevole della strage era lui. È andata così. Ho sbagliato a dare ascolto alla persona sbagliata». «Penso che quel giorno a sparare furono più persone, non solo una, con un solo fucile non puoi fare una cosa del genere», ha detto ancora Pinna, aggiungendo che in questi anni sarebbe stato «minacciato più volte». Nell’ordinanza con cui è stata concessa la sospensione provvisoria dell’esecuzione della pena, i giudici hanno inquadrato come “realtà processualmente accertata” sia “il fatto storico dell’avere” Uda “segretamente mostrato a Pinna la fotografia di Zuncheddu”, sia “l’aspetto dell’avere indotto Pinna a sostenere che quello era lo sparatore da lui visto in viso ed a tacere che aveva già visto quella fotografia”. Dunque, “l’inattendibilità delle dichiarazioni di Pinna” ha “fatto venir meno la ‘prova diretta’ che la Corte di Assise di Appello di Cagliari ha posto a fondamento della pronuncia di colpevolezza dell’imputato”. Le prossime udienze del processo di revisione per Zuncheddu andranno in scena il 30 novembre e il 12 e 19 dicembre.

Zuncheddu ha ripercorso la vicenda parlando [4] del suo arresto. «Ricordo ancora quel giorno. Era pomeriggio e io ero tornato dal lavoro. Ricordo che mi ero fatto una doccetta per poi uscire in paese. Non avevo la fidanzata ma dopo il lavoro facevo sempre due passi. Bussarono alla porta di casa e mi dissero “Dobbiamo fare qualche verifica, ci aiuta?”. Non avevo nulla da nascondere. Mi misi a disposizione. Non potevo immaginare…». L’uomo si trovava attualmente in regime di semilibertà nel carcere di Uta, da dove poteva uscire solo per lavorare e dove era obbligato a fare ritorno la sera. Ma lo scorso 25 novembre, in occasione del solito rientro nella struttura, un agente della polizia penitenziaria con in mano un documento gli ha detto: «Beniamino perdi ancora tempo? Devi uscire». Dopo 33 anni di vita da detenuto, ad un tratto tutto si è capovolto. Rimane una grande domanda: per quale motivo il poliziotto Uda mise in atto questa condotta, contribuendo a provocare conseguenze tanto gravi? «Me lo sono chiesto in tutti questi anni. Non ho mai fatto male a una mosca. Ma forse ero l’uomo semplice da incastrare…», prova a rispondere Zuncheddu.

[di Stefano Baudino]