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In Israele è stato pubblicato un piano dettagliato per la pulizia etnica finale di Gaza

Un “piano finale” dettagliato e pensato nei minimi particolari per risolvere definitivamente il problema della presenza palestinese a Gaza, attraverso una vera e propria pulizia etnica che prevede il reinsediamento della popolazione araba in Egitto. È quanto contenuto in un rapporto – pubblicato pochi giorni fa da uno dei più influenti think tank israeliani – dal titolo inequivocabile: “Un piano per il reinsediamento e la riabilitazione definitiva in Egitto dell’intera popolazione di Gaza”. L’autorevole gruppo di studio israeliano che ha redatto il piano è l’Institute for Zionist Strategies (Istituto per le strategie sioniste, IZS) i cui fondatori ed esponenti sono personaggi illustri della società e delle centrali di potere dello Stato ebraico: si va dal tre volte ministro della difesa Moshe Arens al Nobel per l’economia Robert Aumann, premiato nel 2005 per “aver accresciuto la nostra comprensione del conflitto e della cooperazione attraverso l’analisi della teoria dei giochi”. La sua tesi principale è che la pace porta alla guerra, mentre per prevenire la guerra servono più armi e più guerra. Poi c’è Moshe Ya’alon, in passato ministro della Difesa come riconoscimento per il suo servizio nell’esercito in cui ha avuto un ruolo di primo piano in tutte le più devastanti operazioni contro la resistenza palestinese. Natan Sharansky, invece, è stato prima ministro dell’Interno e poi vice primo ministro ed è noto per aver dato carta bianca agli insediamenti illegali di coloni in Cisgiordania. Il rapporto stilato dall’IZS ha come idea di fondo quella della fondazione di uno Stato su base etnica in cui non c’è posto per quelli che alcuni esponenti dell’esercito e del governo israeliano hanno definito “animali umani”, i palestinesi. L’incipit della relazione del gruppo, infatti, sostiene in modo inequivocabile la necessità di trasferire i residenti di Gaza – quelli che sopravviveranno alla devastazione in corso [1] – in Egitto: “In questo documento verrà presentato un piano sostenibile ed economicamente fattibile, che ben si allinea con gli interessi economici e sostenibile per il reinsediamento umanitario e la riabilitazione dell’intera popolazione araba della Striscia di Gaza”, in Egitto. Il documento specifica, infatti, che nelle due più grandi città dell’area metropolitana del Cairo vi è una enorme quantità di appartamenti statali costruiti e vuoti, disponibili a basso costo e ideali per essere abitati da tutta la popolazione di Gaza.

Nel rapporto [2] – scritto da Amir Weitman, manager e capo del caucus del Likud, il partito di Benyamin Netanyahu –  si parla di “una soluzione innovativa, economica e sostenibile” e si spiega che “Non c’è motivo di ritenere che non possiamo permetterci un pagamento immediato di un miliardo di Shekel, che è fondamentalmente una sorta di pagamento per l’acquisto della Striscia di Gaza”: il governo sionista, dunque, vorrebbe acquistare la Striscia, non prima però di avere compiuto un genocidio ai danni dei suoi abitanti e aver dato vita a quella che sarà ricordata come una seconda Nakba, un secondo esodo forzato della popolazione palestinese. A parlare di genocidio della popolazione di Gaza in questi giorni, del resto, non sono state solo alcune organizzazioni umanitarie, ma anche l’ormai ex direttore dell’ufficio di New York dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha lasciato giorni fa il suo incarico in segno di protesta, affermando che l’ONU «sta fallendo» nel suo dovere di prevenire quello che definisce un genocidio dei civili palestinesi a Gaza sotto il bombardamento israeliano e citando Stati Uniti, Regno Unito e gran parte dell’Europa come «totalmente complici dell’orribile aggressione». Tuttavia, secondo il piano stilato dall’Istituto, questa sarebbe un’opportunità unica da sfruttare. Nella prima riga della relazione, infatti, si legge che “Attualmente esiste un’opportunità unica e rara per evacuare l’intera Striscia di Gaza in coordinamento con il governo egiziano”. Ma quel che è peggio è che il piano viene distopicamente presentato come “umanitario” ed economicamente vantaggioso per tutti, anche per i palestinesi che, dopo essere stati terrorizzati e uccisi da una furia distruttiva senza precedenti, “coglierebbero al volo l’opportunità di vivere in un paese ricco e avanzato piuttosto che continuare a vivere in questa situazione”.

L’obiettivo di Israele è quello di insediare a Gaza i cittadini israeliani, garantendogli “alloggi di alta qualità” ed estendendo a dismisura l’area metropolitana di Tel Aviv, nota col nome Gush Dan, rendendola una specie di “Los Angeles del Mediterraneo”. Unico problema: la presenza dei residenti arabi. L’idea, allora, è quella di convincere l’Egitto a farsene carico e, anche su questo punto, secondo l’autore del rapporto, la situazione non sarebbe mai stata così favorevole, in quanto il piano di pulizia etnica di Gaza non è solo ideale per Tel Aviv, ma si allineerebbe “perfettamente con gli interessi economici e geopolitici sia dello Stato di Israele, quanto anche dell’Egitto stesso, e anche dell’Arabia Saudita”. All’idea del suprematismo etnico di Israele in quanto “popolo eletto”, si aggiunge così anche una buona dose di cinica convenienza economica. In tal senso, nel rapporto è presente anche una tabella con i costi di reinsediamento per famiglia/persona in Egitto e i costi per Israele in percentuale al PIL dell’anno 2023.

L’Egitto, si legge nel rapporto, avrebbe solo da guadagnare dal permettere il reinsediamento “umanitario” dei palestinesi nell’area metropolitana del Cairo: il costo medio di un appartamento sfitto, infatti – che i residenti, nonostante i prezzi molto bassi, non riescono a comprare – è di circa 19.000 euro. Dunque, per finanziare il progetto e garantire l’alloggio ai circa due milioni di palestinesi, sarà necessario trasferire alla Egypt Inc. tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari: “un valore compreso solo tra l’1% e l’1,5% del PIL dello Stato di Israele e facilmente finanziabile dallo Stato di Israele”. Questa iniezione di liquidità alle casse statali del Cairo non potrebbe che risollevare la situazione economica del Paese alle prese con una grave crisi economica a causa dell’altissima inflazione e che lo ha costretto a rivolgersi al Fondo monetario internazionale (FMI) che però impone riforme draconiane quasi inaccettabili. Il tutto sta gettando la nazione araba sull’orlo del default preoccupando anche gli Stati Uniti, per i quali la situazione potrebbe tradursi in un “disastro strategico”. Il piano di Israele, dunque, arriverebbe proprio al momento giusto. Anche l’Arabia Saudita, da parte sua, beneficerebbe del “piano finale” del think tank sionista, in quanto in un solo colpo eliminerebbe un importante alleato dell’Iran – Hamas – e fornirebbe manodopera a basso costo per l’ambizioso progetto di costruzione della città futuristica di Neom, pensata e voluta dal principe ereditario Mohammed bin Salman.

Insomma, a leggere il documento, sarebbero tutti contenti, eccetto, forse, i palestinesi: per convincere anche loro a unirsi al piano, infatti, è in atto uno dei più feroci assedi alla popolazione civile che si ricordi, vietato peraltro dal diritto internazionale, condannato dall’ONU e appoggiato, invece, dai difensori per antonomasia dei diritti umani e della democrazia in tutto il mondo: gli Stati Uniti. La potenza a stelle e strisce, infatti, ha appena approvato aiuti a Israele per 14,3 miliardi di dollari, grazie all’insediamento del nuovo oratore della Camera Mike Johnson, strenuo sostenitore e difensore di Israele ed evangelico oltranzista. Washington, inoltre, ha mandato le sue navi da guerra nel Mediterraneo orientale come avvertimento a Hezbollah e all’Iran, “blindando” così lo Stato sionista. Ha inoltre votato contro una risoluzione ONU [3] che chiedeva il cessate il fuoco nella Striscia per la consegna di aiuti umanitari ai civili. In breve, la pulizia etnica del popolo palestinese – messa nera su bianco da un think tank molto vicino al Likud – sta avvenendo non solo con la complicità di Washington, ma dell’intero Occidente, mentre il mondo assiste impotente all’annientamento di un popolo.

[di Giorgia Audiello]