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Olimpiadi Cortina ’26, dietrofront del governo: la pista da bob non si farà

Dopo mesi di dibattiti e di proteste per la controversa ricostruzione della pista da bob a Cortina in vista delle Olimpiadi invernali di Cortina 2026, è di oggi la notizia che i lavori per l’adeguamento del circuito non si faranno e che dunque le gare di bob, slittino e skeleton saranno ospitate su un’altra pista all’estero. Lo ha reso noto [1] questa mattina il presidente del CONI (Comitato olimpico nazionale italiano), Giovanni Malagò, in base alle informazioni ricevute dal governo durante una riunione del Comitato olimpico internazionale (CIO, il massimo organismo sportivo mondiale) a Mumbai, in India. Le motivazioni principali per cui l’impianto non sarà ristrutturato (una pista da bob a Cortina esiste già) risiedono nel fatto che nessuna azienda ha accettato l’incarico per via dei costi elevati e dei tempi ristrettissimi: il bando per il cantiere prevedeva 807 giorni di lavoro e al momento mancano circa 830 giorni all’inizio delle Olimpiadi. In ogni caso, la pista dovrebbe essere finita molto prima, almeno entro la fine di novembre del 2024, per i collaudi e le gare di prova indispensabili per avere la certificazione dal CIO. Inoltre, se le previsioni della Regione Veneto e della Fondazione Milano Cortina stimavano inizialmente una spesa di 85 milioni di euro, l’aumento dei costi delle materie prime ha fatto lievitare la cifra che, secondo Luca Zaia, potrebbe arrivare fino a 120 milioni di euro. Il tutto ha indotto il governo e la Fondazione Milano Cortina a rinunciare al progetto, accettando di tenere le competizioni all’estero, probabilmente a Innsbruck in Austria.

Una vittoria per gli attivisti e le associazioni ambientaliste contrarie al progetto che da mesi manifestavano per fermare i lavori: quest’ultimi, infatti, comporterebbero l’abbattimento di un gran numero di larici, in quanto si estenderebbero su un’elevata quantità di terreno. Il che andrebbe a deteriorare ulteriormente un territorio già compromesso. Per questo, lo scorso agosto alcuni attivisti si sono legati agli alberi [2] che avrebbero dovuto essere abbattuti gridando «Noi la pista non la vogliamo». Una protesta comprensibile se si considerano, oltre ai danni ambientali, gli ingenti costi per le casse pubbliche soprattutto a fronte del fatto che si tratta di una struttura che difficilmente sarà utilizzata dopo i giochi olimpici del 2026. Lo stesso CIO, del resto, aveva sconsigliato di ricostruirla, considerato che è possibile utilizzare quella di Innsbruck, appena oltre il confine austriaco. La Fondazione Milano Cortina, tuttavia, ha sempre respinto le proposte del sindaco della cittadina austriaca, Georg Willi, per via delle promesse fatte all’amministrazione di Cortina.

Ora, però, dopo che tutti i bandi pubblici – organizzati da Simico, società che gestisce l’appalto – si sono risolti in un nulla di fatto [3] e dopo l’annuncio di Malagò, il presidente del Comitato olimpico austriaco, Karl Stoss, ha detto al presidente del CONI che «l’Austria è un potenziale candidato e sarebbe felice di sostenervi»: l’ipotesi che venga utilizzata la pista di Innsbruck, dunque, appare sempre più probabile. In questo caso, gli interventi di ristrutturazione ammonterebbero in totale a 27 milioni di euro dei quali 12,5 verrebbero versati dall’Italia. Si tratta, dunque, di un notevole risparmio per le casse pubbliche a fronte dei 120 milioni stimati per sistemare il circuito a Cortina, ma soprattutto si avrebbero notevoli vantaggi a livello ambientale evitando il disboscamento e la cementificazione di parte del territorio. Il CIO, che è favorevole al riutilizzo degli impianti esistenti, ha accolto con favore la rinuncia dell’Italia parlando di «decisione responsabile».

I buoni propositi di sostenibilità espressi dalla Fondazione Milano Cortina (che diversamente sarebbero rimasti esclusivamente su carta) verranno dunque – in parte – realizzati solamente grazie al fatto che non si sono trovate aziende disponibili a portare a termine i lavori. In questo modo verranno anche risparmiati ingenti fondi pubblici per un’opera ritenuta «non necessaria» dallo stesso CIO.

[di Giorgia Audiello]