- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

“La Terra Santa”, una poesia di Alda Merini

Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c’era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.
Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso la messe,
la messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.
Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.
Ma un giorno da dentro l’avello
anch’io mi sono ridestata
e anch’io come Gesù
ho avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita ai cieli
sono discesa all’inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.
Le dune del canto si sono chiuse,
o dannata magia dell’universo,
che tutto può sopra una molle sfera.
Non venire tu quindi al mio passato,
non aprirai dei delta vorticosi,
delle piaghe latenti, degli accessi
alle scale che mobili si dànno
sopra la balaustra del declino;
resta, potresti anche essere Orfeo
che mi viene a ritogliere dal nulla,
resta o mio ardito e sommo cavaliere,
io patisco la luce, nelle ombre
sono regina ma fuori nel mondo
potrei essere morta e tu lo sai
lo smarrimento che mi prende pieno
quando io vedo un albero sicuro.

A me pare che la poesia di Alda Merini denunci che il manicomio siamo noi, io, tu, noi che portiamo la distruzione, che rendiamo nemico chiunque non riusciamo a capire, che non diamo punti fermi, alberi forti e sicuri a chi ne avrebbe bisogno.

Ma tu dirai ‘Io non ho ucciso nessuno, non sono un terrorista e nemmeno coltivo la vendetta coperto dalla legge. Io non sono tra quelli che portano la morte e nemmeno tra quelli che la subiscono’.

Tu ti senti fuori, vorresti che il problema non ti riguardasse, guerre mondiali a parte. Ma ti sbagli. Anche tu non accorri se senti urlare, e allora sei complice, anche tu disprezzi chi non ce l’ha fatta, e allora non meriti nulla.

Ma non parliamo di te, parliamo di me. Ho letto i Fratelli Karamazov, le pagine dopo il Grande Inquisitore, quando Dostoevskij afferma che per uscire dal male bisogna prendersi le colpe di tutti.

C’è una spiegazione metafisica, se vogliamo, anzi ce ne sono non poche, ma ce n’è anche una più semplice che mi riguarda. Se desidero la pace devo considerare le guerre sbagliate che ho condotto prima. E ora che magari io devo accettare il mio nemico vittorioso su di me o al contrario caduto con il suo sangue nella polvere, devo comportarmi nei due casi nello stesso modo.

Insomma, io e te dobbiamo odiare profondamente ciò che vogliamo non si ripeta, esaminare il tuo, il mio cielo e mettersi in ascolto.

Teniamoci sempre pronti a ricominciare col passo giusto. Sospendi la tua vendetta e accetta che io ti possa tradire. Ma se non ti tradirò, fino alla fine dei giorni potremo camminare insieme.

In ogni ragione c’è sempre un po’ di follia e nel manicomio sono entrati e anche usciti tanti poeti.

[di Gian Paolo Caprettini]