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Carbon tax: al via l’iniziativa UE per tassare i prodotti inquinanti alla frontiera

Le aziende che commerciano ferro, acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti, idrogeno ed elettricità con l’Unione Europea sono ora tenute a comunicare le emissioni (dirette e indirette) di gas serra legate ai loro prodotti prima di varcare il confine. L’obiettivo della misura è triplice: evitare la “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio” (che si verifica quando le aziende con sede nell’UE trasferiscono la produzione ad alta intensità di CO2 all’estero, verso Paesi in cui sono in vigore politiche climatiche meno rigorose), impedire che prodotti stranieri altamente inquinanti intacchino gli sforzi climatici del continente e non far perdere competitività alle imprese europee, sottoposte a standard ambientali più stringenti.

Quella entrata in vigore la scorsa domenica è solo la prima fase del processo che l’UE ha denominato ‘meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere’ (CBAM) e che alla fine prevedrà, a partire dal 2026, il pagamento di una tassa sulle emissioni di CO2 dei prodotti – fino a quella data sarà sufficiente presentare una rendicontazione puntuale delle importazioni. Ma in futuro, una volta superata l’attuale fase di rodaggio, nel caso in cui i gas serra emessi per la creazione dei prodotti in questione dovessero superare quelli che sarebbero stati emessi se la produzione fosse avvenuta in Europa, rispettando gli standard comunitari, gli importatori saranno costretti a sborsare una specifica somma di denaro. Un sistema unico al mondo, «uno strumento di riferimento per attribuire un prezzo equo al carbonio emesso durante la produzione di beni che entrano nell’UE», come ha spiegato [1] la Commissione Europea, «così da incoraggiare una produzione industriale più pulita nei paesi extra-UE», e sostenere in questo modo la generale decarbonizzazione del settore. L’intento del continente è, infatti, quello di servirsi del mezzo commerciale per spingere gli Stati non appartenenti all’area a muoversi in una direzione più ‘verde’.

Ma se da una parte l’UE ha affidato al sistema un ruolo decisamente importante all’interno dei suoi piani volti a ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 [2], il meccanismo di adeguamento del carbonio ha già fatto storcere il naso a parecchi partner commerciali.

Carnegie Europe, un ente di ricerca specializzato nell’analisi della politica estera e di sicurezza europea, stima che [3] a risentirne saranno maggiormente Russia, Cina, Regno Unito, Turchia, Ucraina, India, Corea del Sud e Stati Uniti. Brasile e Sud Africa hanno definito la misura “discriminatoria”, e Nuova Delhi ha già annunciato pesanti ripercussioni – il Governo starebbe pianificando [4] di introdurre a sua volta una propria tassa sul carbonio volta a colpire le esportazioni UE.

Ma a preoccuparsi non è solo la controparte estera. I produttori e le associazioni di categoria dell’UE temono che una reazione da parte della Cina, per esempio, possa costargli una grossa fetta di mercato. Paure che il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, ha tentato di ridimensionare, spiegando che l’obiettivo non è quello di disincentivare il commercio ma di promuovere quello più ecologico.

D’altronde il periodo di ‘prova’ avviato dall’UE servirà proprio a questo: chiarire i dubbi di tutte le parti coinvolte (importatori, produttori e autorità) e raccogliere informazioni utili a migliorare la metodologia e la strumentazione di cui dovrà servirsi l’UE per tenere sotto controllo tutti i dati di cui avrà bisogno.

[di Gloria Ferrari]