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Il nuovo X di Elon Musk e il modello di “super app” totalitaria alla cinese

Lo scorso 10 agosto la nuova amministratrice delegata di X Corp (l’ex Twitter), Linda Yaccarino, ha rilasciato la prima intervista ufficiale da quando ha assunto la direzione dell’azienda. Nell’occasione ha parlato delle nuove politiche del social network su censura e oscuramento dei contenuti sgraditi all’algoritmo, in direzioni che vanno molto lontano da una certa aurea di “difensore della libertà di parola” che Musk si era immotivatamente guadagnato. Nonché dei motivi dietro il cambio di nome dell’ex Twitter e dei disegni del suo capo per riuscire a fare di X una ‘everything app’, ovvero una applicazione ‘per tutte le cose’: capace di funzionare come social, come chat, come piattaforma video, come negozio online, eccetera. Un obiettivo che ha come modello WeChat, la super app cinese che fornisce ogni tipo di servizio ai cittadini (oltreché di dati degli stessi alle autorità di Pechino). Un altro indizio in questo senso è arrivato la scorsa settimana, quando X ha introdotto [1] – per ora in versione di prova – la funzione di offerta e ricerca di lavoro, lanciando la sfida a LinkedIn.

Censura e shadow banning

Nella sua lunga intervista (a questo link [2] disponibile in lingua italiana) la nuova amministratrice delegata di X, Linda Yaccarino, annuncia nuove politiche aziendali per censura e algoritmi. Due le direttrici principali: tolleranza zero verso contenuti illegali e libertà di parola controllata. La prima regola, denominata zero tolerance (tolleranza zero), prevede la rimozione immediata di contenuti che vanno contro la legge (criminali o illegale, es: pedopornografia, criminalità, etc); la seconda, denominata Freedom of speech, not reach (Libertà di parola, non di diffusione) prevede che nessuno verrà bannato per aver espresso la propria opinione su un tema, ma dagli uffici di X potranno ridurre a piacimento la circolazione del suo messaggio attraverso il cosiddetto shadow ban. La limitazione prevederà inoltre l’impossibilità di condivisione del contenuto marchiato come problematico, e l’impossibilità di monetizzare il contenuto stesso.

Libertà di stampa sui media in ostaggio degli inserzionisti

Le domande con le quali la Yaccarino viene incalzata sono in buona parte dell’intervista mirate a metterla in difficoltà sul fronte inserzionisti (vengono citate Visa, Coca-Cola, etc). La posizione della Yaccarino è chiara: ai contenuti definiti lawful but awful (legali ma sgradevoli) non verrà concessa la possibilità di essere condivisi né monetizzati. Così, con la scusa di proteggere gli inserzionisti dal venire associati ad un determinato contenuto (scusa che difficilmente credibile per quanto riguarda la TV o su un quotidiano, ma che viene accettata per le piattaforme digitali), si taglieranno le gambe a tutti quei creatori di contenuti che verranno marchiati come ‘legali ma sgradevoli’, e al momento è tutto tranne che chiaro cosa e con quale procedure sarà marchiato in questo modo.

Qui vale la pena di citare Antonio Gramsci, quando spiegava che se il giornale lo paga il padrone, difficilmente i suoi contenuti andranno contro il padrone che paga il giornale e gli stipendi dei giornalisti. Se la piattaforma sta in piedi coi soldi degli inserzionisti – si potrebbe dire aggiornando il ragionamento – difficilmente questa permetterà la diffusione di contenuti che ledano gli inserzionisti. È la rappresentazione plastica del dominio totale del settore privato sull’informazione.

Un esempio concreto per comprendere le implicazioni del fenomeno: secondo Statista [3], nel solo 2020, il 75% degli introiti pubblicitari sulla tv via cavo americana sono costituiti dall’industria farmaceutica. Questo vuol dire che la tv via cavo americana è economicamente dipendente da questo settore e – a meno che non voglia rischiare il fallimento – non potrà permettersi di pubblicare contenuti sgraditi alle aziende farmaceutiche.

Dove sta andando Musk: il modello di super app cinese

L’intervista della Yaccarino rende anche una visione di quale sia il piano effettivo di Musk per X-Twitter. L’amministratrice delegata continua a chiamarla X the everything app, ovvero X l’app per tutto, un modello su cui lo stesso Musk si era già espresso più volte. Nello specifico, lo scorso ottobre, fu proprio Musk a dire che Twitter sarebbe diventata una super app sul modello della WeChat cinese.

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Così, stando ai progetti, sul nuovo X si potrà:

Tutti questi temi possono essere approfonditi, ma è chiaro che la direzione è quella di un unico ecosistema digitale totalizzante che inglobi l’utente sempre di più all’interno della piattaforma senza dargli motivo per di uscire. Al contrario, all’implementarsi di nuove feature nella nuova super app, l’utente avrà sempre meno ragioni di fruire internet al di fuori della everything app. Questa cosa però, legata alle nuove politiche aziendali su censura e oscuramento dei contenuti, scatena delle domandi sconcertanti: cosa succede nel momento in cui tutto questo potere è in mano ad un’unica realtà? Quanto diventa più semplice silenziare qualcuno, o un’opinione scomoda, in un unico ecosistema digitale integrato (che poi è la super app su modello cinese che Musk sogna)? Chiaro che tra il dire e il fare c’è di mezzo Elon Musk e la sua propensione a fare annunci anche radicalmente in contraddizione (pochi giorni fa ha anche affermato [5] che X potrebbe fallire), nonché la sua reale volontà di investire in questa direzione. Ma la sola ipotesi non può che destare preoccupazione.

Potenziali risvolti sul funzionamento dei processi democratici

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[Figura 2]
Negli scorsi anni si è reso evidente, in diversi episodi e specialmente durante la pandemia da Covid-19, come entità mastodontiche come Google (Figura 2) e Meta (Figura 3) siano in grado di:

In questo contesto, cosa succederebbe se a queste due realtà se ne affiancasse una terza, forse addirittura più totalizzante, posseduta dallo stesso uomo che:

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[Figura 3.]
Se gli agglomerati come Alphabet e Meta sono stati in grado, in passato, di influenzare l’azione dei governi e l’esito di campagne elettorali grazie alle proprie dimensioni e ramificazioni, inquinando (o comunque impattando su) i normali processi democratici, spesso senza che l’opinione pubblica se ne rendesse conto, cosa succederebbe se all’ecosistema di aziende capitanate da Musk si unisse anche una super app in grado di monopolizzare l’esperienza web degli utenti come descritto poco fa? Risulta difficile prevedere la portata delle conseguenze di una simile situazione sul sistema democratico.

 

[di Giò Fumagalli]