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Il trasporto aereo inquina ma ha privilegi fiscali pari ad oltre 34 miliardi di euro

Nonostante il settore del trasporto aereo sia altamente impattante sul clima, gode di enormi privilegi fiscali: è quanto emerge da un rapporto [1] del gruppo ambientalista Transport & Environment, con cui è stata posta la lente di ingrandimento sulla cifra che gli Stati europei non hanno riscosso a causa di diverse esenzioni. Dall’analisi è emerso infatti che lo scorso anno i governi non hanno ricevuto 34,2 miliardi di euro a causa dei bassi livelli di tassazione applicati al settore dell’aviazione civile, responsabile di una perdita pari a circa 4 milioni di euro all’ora. Un mancato incasso di notevole importanza, soprattutto se si considera che con 34,2 miliardi di euro si sarebbero potuti costruire 1.400 chilometri di infrastrutture ferroviarie ad alta velocità.

Secondo quanto emerso dal rapporto, le cause dei una tale perdita economica sono tre: il mancato pagamento, da parte del settore, delle tasse sul cherosene; un’IVA assente o molto bassa sul costo dei biglietti; l’applicazione della tassazione delle emissioni di anidride carbonica solo ai voli intraeuropei. Tasse in parte a carico dei passeggeri ed in parte delle compagnie aeree le quali, tuttavia (nonostante abbiano anche beneficiato di sussidi pubblici durante la pandemia), contribuiscono maggiormente alla perdita, visto che 20,5 miliardi avrebbero dovuto essere pagate dalle stesse relativamente al carburante ed alle emissioni di anidride carbonica. Ad incidere particolarmente sono Air France e Lufthansa le quali, a causa della dimensioni della loro attività, non hanno fatto riscuotere all’Europa rispettivamente 2,4 e 2,3 miliardi di euro. Un dato che non sorprende, visto che oltre la metà (56%) del totale della perdita economica è attribuibile alle “attività delle prime 15 compagnie aeree più inquinanti in Europa”.

A fare i conti con il problema sono soprattutto il Regno Unito, la Francia, la Spagna e la Germania, che si sono affermati come i quattro Paesi europei con la perdita economica maggiore, riflettendo pienamente le dimensioni dei rispettivi settori dell’aviazione. Il governo britannico e quello francese, ad esempio, avrebbero incassato rispettivamente 5,5 e 4,7 miliardi di euro in più se l’aviazione fosse stata tassata adeguatamente – un mancato incasso concretizzatosi nonostante entrambi abbiano imposto una tassa sui biglietti. Per farlo, del resto, il rapporto raccomanda ai governi europei di applicare una tassa sul cherosene ed un’IVA del 20% sui biglietti aerei, nonché di contrastare le emissioni di anidride carbonica prodotte da ciascuno dei voli in partenza. Qualora tali misure non fossero possibili, invece, ogni Paese dovrebbe applicare una tassa sui biglietti aerei equivalente alle propria perdita economica.

A prescindere dal modus operandi adottato, però, l’importante è intervenire, dato che con le attuali esenzioni il mancato incasso aumenterebbe del 38% entro il 2025: il settore, infatti, è destinato a crescere, motivo per cui nel 2025 si potrebbe passare da 34,2 miliardi non ricevuti a 47,1. L’intervento appare necessario anche per i benefici ambientali che potrebbe arrecare, visto che, secondo il rapporto, la fine delle esenzioni nel 2022 avrebbe fatto risparmiare 35 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Le entrate derivanti dalla tassazione, inoltre, potrebbero essere in parte reinvestite in tecnologie verdi, mentre un costo maggiore del biglietto aereo genererebbe un più diffuso ricorso al trasporto ferroviario che, come rivelato [2] da Greenpeace, è meno economico ma più sostenibile.

Il settore dell’aviazione, del resto, genera circa il 2,5% delle emissioni di anidride carbonica a livello globale ed il suo impatto è sempre maggiore: nel 2013, infatti, emetteva 706 milioni di tonnellate di anidride carbonica, mentre nel 2019 ne produceva 920. Numeri causati soprattutto dalla scarsa tassazione e regolamentazione del settore, che di questo passo produrrà probabilmente entro il 2050 un aumento del 62% dei voli in partenza e in arrivo dagli Stati dell’UE e dell’EFTA (Associazione europea di libero scambio). Bisognerà quindi intervenire al più presto, onde evitare un aggravio dell’impatto climatico del trasporto aereo.

[di Raffaele De Luca]