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Memoria e ricordo

La memoria come magazzino e come facoltà. Come magazzino dove si raccolgono varie esperienze, capacità, conoscenze e sensazioni. Come facoltà, in quanto in grado di prelevare quanto occorre dal repertorio e di farlo quando è richiesto, quando è necessario.

Lo stesso Platone intendeva la memoria sotto questi due aspetti. E se volessimo seguirlo fino in fondo diremmo che la memoria si identifica con lo spazio, secondo Platone, vale a dire con un luogo ricettivo, contenitore e archivio. Il mondo delle idee finisce per identificarsi con la memoria. E con il linguaggio che agisce come veicolo dei nomi.

Ma prima viene la ricordanza o rimembranza, scriveva Leopardi. Il mondo sensibile ci offre varie percezioni e ciascuna di queste può farne venire in mente un’altra simile precedente o immaginaria. Attraverso questo meccanismo entra in gioco il tempo, un tempo memorabile ad esempio, quando una particolare emozione lo ha contrassegnato.

‘Memoria’ deriva dalla radice di ‘mente’ e ‘ricordo’ dalla radice di ‘cuore’. Già questo è significativo per cogliere la differenza tra i due campi. Ci sono poi altri vettori di senso. Il francese ‘souvenir’ indica qualcosa che si è smosso al di sotto, un po’ come nell’inglese ‘understatement’, termine che indica un significato non del tutto esplicito.

Che dire poi del tedesco ‘Erinnerung’? La parola ricordo, femminile in tedesco, richiama le Erinni, in greco le dee che presiedevano alla giustizia in forma divina ma vendicativa. Nel greco antico così si chiamavano le nuvole minacciose, cariche di pioggia, segnalatrici di una risposta celeste.

Dunque, nel sottofondo, una accentuazione negativa in tedesco, mitigata se vogliamo dalla veste poetica. Negli anni di Leopardi, Hoelderlin, ad esempio, scrive Ricordi dove sentimento, malinconia e follia, “l’ombra degli olmi sul mulino”, si intrecciano.

Il ricordare genera eccessi oltreché censure e oblio, quel ‘nostos’ di cui parla Omero per Ulisse, la nostalgia, cioè il dolore dovuto alla lontananza. E così la memoria si riprende il suo spazio, il suo non esserci più, non esserci ora di qualcuno o qualcosa che permane però nel linguaggio della mente e del cuore. E permanendo vive.

[di Gian Paolo Caprettini]