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Fermiamo la strage: i sindacati di base in piazza contro gli “omicidi sul lavoro”

A seguito della morte di Franco Mazzelli, operaio 18enne deceduto a Fermo dopo che il tetto del capannone sul quale stava lavorando ha ceduto, è stato indetto per oggi un presidio di fronte al Ministero del Lavoro, a Roma, per chiedere misure più stringenti volte a evitare gli “omicidi sul lavoro”. Nello specifico, sindacati e associazioni chiedono che venga introdotto nel codice penale il reato di omicidio e lesioni gravi o gravissime sul lavoro, che inasprisca le pene ai danni dei datori di lavoro che non rispettano le norme in materia di protezione dei dipendenti. La campagna [1] di raccolta firme per la legge di iniziativa popolare (ne servono 50 mila perché la proposta venga depositata in Senato) è stata lanciata su suolo nazionale alla fine dello scorso giugno.

Nel solo 2023, secondo quanto riferito [2] da Unione Sindacale di Base (USB) e Rete Iside, sono già oltre 600 i morti sul lavoro in Italia, con la Lombardia come Regione più colpita – 85 decessi dall’inizio dell’anno, all’incirca uno ogni due giorni. Prima di Franco Mazzelli era toccato [3] a un operaio lombardo di 44 anni, morto a causa di un malore mentre tracciava la segnaletica stradale sotto il sole, a una temperatura percepita di 40 gradi. A giugno, mese che ha registrato un’impennata nel numero di vittime, due tecnici del Servizio Geografico Militare di Torino e un finanziere sono deceduti dopo essere precipitati in un dirupo con il fuoristrada mentre erano impegnati nella realizzazione di alcuni rilievi. Incidenti di natura estremamente differente, che sottolineano come i rischi collegati allo svolgimento di una mansione siano molteplici e potenzialmente mortali.

Se si guarda [4] agli ultimi cinque anni, i decessi salgono a quattromila, mentre quasi quattro milioni di persone hanno subito danni gravi, 300 mila hanno subito danni permanenti ed altrettanti si sono ammalati per via dell’esposizione a sostanze inquinanti sul posto di lavoro. A fronte di tali numeri, denuncia Rete Iside, “le pene comminate ai responsabili per la mancata osservanza delle disposizioni normative in materia di prevenzione dei rischi per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro sono molto tenui e di scarsa rilevanza”.

Ad essere problematica, in particolare, è la natura troppo generica degli obblighi cui devono sottostare i datori di lavoro per garantire la sicurezza dei dipendenti. Insieme all’entità lieve delle pene previste (dai due ai sette anni di reclusione, secondo quanto previsto dal comma 2 dell’art. 589 del codice penale), questi non comportano un adeguato deterrente, sostiene Rete Iside. La nuova legge intende quindi distinguere i comportamenti del datore in vari gradi di gravità, con sanzioni adeguate in base al grado di colpa e della gravità del fatto. Il disegno di legge introduce quindi il reato di omicidio sul lavoro (artt. 589-quater, 589-quinquies) e quello di lesioni personali sul lavoro gravi o gravissime (590-septies e 590-octies). Per entrambe viene confermata la pena già prevista dalla legislazione vigente, con un amento da 8 a 12 anni in caso di morte del lavoratore e da 3 a 7 anni in caso di lesioni gravi o gravissime dovute al mancato adempimento del datore di lavoro agli obblighi di sicurezza.

La proposta mira a sovvertire una certa narrativa comunemente diffusa e a riportare l’attenzione sul fatto che, come sottolinea USB, si tratta di “omicidi sul lavoro: non di morti ‘fatali e imprevedibili’ ma della naturale conseguenza di scelte padronali, con le quali interessa solo massimizzare i profitti, tagliando su salari e sicurezza a discapito della vita di lavoratori e lavoratrici”.

[di Valeria Casolaro]