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L’ISTAT fotografa un’Italia sempre più vecchia e impoverita

Non è un Paese per giovani e donne, soprattutto se meridionali. Non il titolo di un film ma lo scenario desolante che ha immortalato [1] l’ISTAT nel “Rapporto annuale 2023. La situazione del Paese”. Un Paese che invecchia [2] sempre di più, vede emigrare i propri giovani e non tutela quelli che restano. Quasi la metà dei 18-34enni (10 milioni e 273 mila persone) mostra almeno un “segnale di deprivazione” in uno dei domini chiave del benessere: istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo e territorio. In Italia 1,7 milioni di giovani non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione: si tratta di circa un under 30 su cinque. In questa triste classifica le ragazze staccano i ragazzi di quasi 3 punti percentuali (20,5% e 17,7%). Anche quando riescono a trovare lavoro, i giovani devono fare i conti con precarietà [3] e stipendi da fame.

Tra il 2004 e il 2022, il tasso di occupazione per i giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni si è ridotto di 8,6 punti percentuali, mentre per i 50-64 enni è aumentato del 19,2%. Il divario occupazionale tra due generazioni agli antipodi, una avviatasi verso la pensione e l’altra agli inizi della carriera lavorativa, è oggi ampissimo. Nel caso degli under 35, il tasso di occupazione si ferma al 43,7%, mentre nella fascia 50-64 anni la percentuale sale al 61,5%. Una differenza del 17,8%, figlia di politiche e di una cultura restie alla valorizzazione dei giovani. Sul coinvolgimento attivo delle nuove generazioni ha più volte scritto lo psicanalista Umberto Galimberti: «Noi i giovani non li usiamo… gli facciamo fare le fotocopie, i lavori a Cococo, i lavori a progetto, i lavori in affitto… ma il massimo della potenza creativa, il momento intuitivo, è in quell’età lì».

Non è un caso che i segnali di deprivazione si manifestino in modo più intenso nella fascia di età 25-34 anni. Un periodo che apre a passaggi impegnativi, come l’ingresso nel mondo del lavoro, l’uscita dalla famiglia e l’inizio di una vita autonoma. Percorsi non sempre possibili a causa della precarietà del mondo del lavoro. Come evidenziato dall’ISTAT, la situazione non è delle migliori nemmeno in caso di occupazione: la retribuzione media annua lorda per dipendente è di quasi 27 mila euro, inferiore del 12% alla media europea. Tuttavia, un giovane guadagna di solito la metà di un collega adulto: come evidenziato da uno studio [4] del Consiglio nazionale dei giovani e di EURES, il 43% degli under 35 percepisce una retribuzione netta mensile inferiore a 1000 euro.

Tra il 2000 e il 2021, tutte le regioni italiane hanno perso [5] posizioni nella classifica europea del PIL pro capite PPA (a parità di potere d’acquisto). Si tratta di un fallimento anomalo delle politiche di coesione messe in campo da Bruxelles. I 21 anni analizzati hanno infatti visto una generale convergenza tra le economie e i tenori di vita dei diversi territori dell’UE. Fanno eccezione la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia, con particolare riguardo per il Mezzogiorno. Alle regioni meno sviluppate (Basilicata, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) sono andati nello scorso bilancio UE (2014-2020) il 69% delle risorse stanziate per le politiche di coesione. Nonostante ciò, le regioni hanno continuato la loro regressione: la Calabria è passata dal 182esimo al 214esimo posto, la Sicilia dal 173esima al 208esimo, la Campania dal 165esimo al 201esimo. Una situazione favorita dalla mancanza di politiche incisive e di una gestione virtuosa da parte dello Stato e degli enti minori italiani.

[di Salvatore Toscano]