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Il Canada vieta produzione e commercio di cosmetici sperimentati sugli animali

Jean-Yves Duclos, Ministro della Salute canadese, ha annunciato [1] che nel suo Paese non sarà più possibile testare cosmetici sugli animali: tali prodotti non potranno né essere venduti da aziende nazionali né importati da imprese estere, perché tali procedure sono «crudeli e non necessarie». Queste nuove misure, compreso il reato di ‘etichettatura falsa o fuorviante’, dovrebbero entrare in vigore il 22 dicembre, ma non saranno retroattive – i prodotti precedentemente testati sugli animali, prima dell’introduzione della legge, potranno ancora venduti. Quello compiuto dal Canada non è un ‘passo’ unico nel suo genere. Negli anni sono stati più di quaranta i Paesi che hanno deciso di impedire che sul proprio territorio si continuassero a testare prodotti di cosmesi sugli animali.

Nell’Unione Europea, ad esempio, la direttiva è stata adottata [2] l’11 marzo 2013, e prevede il divieto assoluto di vendere o importare prodotti e ingredienti cosmetici testati sugli animali, come previsto dal Regolamento Europeo 1223/2009. Una normativa introdotta dopo anni di lotte portate avanti da associazioni come la Lega anti vivisezione (Lav), che ha parlato di “promesse disattese per oltre 23 anni”.

La legge, nello specifico, impone alle aziende di non effettuare – né direttamente né commissionandoli a terzi – test su animali; di monitorare i propri fornitori e produttori affinché si attengano all’impegno di non testare su animali le materie prime cosmetiche dopo la data fissata nella sottoscrizione; di non utilizzare ingredienti provenienti dall’uccisione di animali. In realtà la pratica di testare trucchi, creme, saponi e profumi sugli animali nel continente era già vietata dal 2004, e dal 2009 erano stati vietati anche i test riguardanti le sostanze che compongono i prodotti cosmetici. Quella del 2013, quindi, è stata una legge cumulativa, che ha racchiuso tutti gli step precedenti apponendo un divieto complessivo – anche perché prima di quell’anno esistevano in realtà alcune eccezioni che permettevano ancora di usufruire degli animali per testare gli effetti più complessi delle sostanze sulla salute umana.

Un gran bel risultato visto che l’Europa, per i cosmetici, è considerato uno dei più grandi mercati al mondo. D’altronde basta dare un’occhiata ai dati: il settore impiega più di due milioni di lavoratori e gli europei usano almeno sette diversi prodotti di cosmesi al giorno (tra cui creme, shampoo e trucchi). Una ‘passione’ tuttavia, per cui i consumatori non sono disposti a mettere da parte i diritti degli animali.

Da un sondaggio [3] di Eurobarometro – condotto per conto della Commissione Europea – è emerso che il 90% dei cittadini del continente pensa sia importante stabilire standard elevati di protezione per gli animali e che questi siano riconosciuti in tutto il mondo. L’89% pensa poi che debba essere proprio l’UE a lavorare per la promozione dei diritti degli animali a livello internazionale, trascinando i Paesi più restii.

Ogni anno più di mezzo milione di animali [4], tra cui topi, ratti, rane, cani, gatti, conigli, criceti, porcellini d’India, scimmie, pesci e uccelli, viene ucciso nei laboratori per diversi motivi, tra cui: formazione medica, sperimentazione, test chimici, farmaceutici, alimentari e cosmetici. Prima di morire, alcuni di loro sono costretti ad inalare fumi tossici, altri sono immobilizzati per ore, altri vengono privati di parti del corpo o finiscono con la pelle bruciata. Torture che, come dimostra il successo dei marchi ‘cruelty-free’ possono essere evitate affidandosi ad esempio a tipologie di test più moderne, che non prevedono l’utilizzo di animali, in combinazione con l’utilizzo di ingredienti certamente sicuri – e che quindi non hanno bisogno di ulteriori approvazioni.

[di Gloria Ferrari]