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Regno Unito e Israele hanno firmato un nuovo partenariato strategico

Israele e il Regno Unito hanno firmato un accordo che sancisce e consolida la loro storica e naturale alleanza, rafforzandone la cooperazione strategica commerciale e militare, confermando però allo stesso tempo la complicità della Gran Bretagna nell’apartheid effettuato dallo Stato ebraico ai danni dei palestinesi. L’accordo, denominato Roadmap 2030 per le relazioni bilaterali tra Regno Unito e Israele, è stato siglato lo scorso marzo, ma solo ora tutti i dettagli sono stati resi noti. Esso comprende una serie di punti fondamentali, tra i quali il commercio e gli investimenti, la difesa e la sicurezza e i problemi dell’antisemitismo e dei pregiudizi antisraeliani. Nessun riferimento, invece, alla questione della violazione dei diritti umani verso i palestinesi: il Regno Unito, al contrario, si rifiuta di riconoscere Israele come uno “Stato di apartheid”, impegnandosi, invece, a lavorare con lo Stato sionista «per affrontare l’esclusione di Israele dal Consiglio dei diritti umani e da altri organismi internazionali».

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, infatti, sta indagando sulle violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati e in tutta la Palestina occupata dal 1948. L’indagine è aspramente criticata dai politici israeliani in quanto sarebbe “antisemita”. Non sono mancate le reazioni dei gruppi e delle ONG britanniche “filopalestinesi” all’accordo di partenariato tra le due nazioni: «Questo spaventoso documento cancella i palestinesi dal quadro, senza fare alcun riferimento all’intensificarsi della violazione dei loro diritti da parte del governo Netanyahu e alla rivendicazione di Israele sull’intera Palestina storica, a dispetto del diritto internazionale. In questo momento, promettere di approfondire le relazioni con Israele piuttosto che ritenerlo responsabile, dà a Netanyahu il via libera per continuare a consolidare le politiche di apartheid israeliane», ha dichiarato [1] Kamel Hawwash, presidente della Palestine Solidarity Campaign (PSC).

Per quanto riguarda la parte commerciale, la Roadmap 2030 [2] prevede la massimizzazione del commercio con Israele attraverso un accordo di libero scambio potenziato e più ambizioso, grazie all’eliminando delle barriere doganali. L’obiettivo dell’Accordo di libero scambio Regno Unito-Israele (ALS) è quello di ottenere risultati ambiziosi che migliorino il commercio di servizi, servizi finanziari e stato di riflessione sull’innovazione come superpoteri tecnologici. Al riguardo, il Gran Bretagna-Israele Investment Group (BIIG) lavorerà a progetti tecnologici congiunti sia Medioriente che nel sud-est asiatico: «BIIG ha il potenziale per favorire gli sviluppi in aree specifiche del Medio Oriente e del sud-est asiatico, avvicinandole all’orbita delle economie di libero mercato» e «mirerà a promuovere le capacità uniche di Israele e Regno Unito per affrontare le sfide regionali, in particolare nei settori della sicurezza alimentare e idrica». Inoltre, l’accordo ribadisce anche l’obiezione del Regno Unito al movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni e il suo impegno «a porre fine a qualsiasi campagna di questo tipo da parte di enti pubblici, anche attraverso la legislazione».

Una delle parti più allarmanti del progetto è tuttavia quella che riguarda gli armamenti, la sicurezza e l’intelligence: la Gran Bretagna, infatti, intrattiene un florido commercio di armi con Israele. Secondo War on Want [3] , un’organizzazione no profit britannica che mira a combattere le cause profonde della povertà, Londra ha approvato quasi 500 milioni di dollari di tecnologia militare e esportazioni di armi in Israele dal 2016 al 2021 e il nuovo accordo Regno Unito-Israele promette l’intensificarsi di questo commercio. L’accordo prevede, inoltre, anche il rafforzamento delle relazioni di sicurezza informatica, ambito all’interno del quale il primo ministro britannico, Rishi Sunak, detiene peraltro importanti interessi economici: la moglie di Sunak, Akshata Murty , possiede, infatti, una partecipazione dello 0,93% in Infosys – una società informatica indiana fondata dal suocero di Sunak, NR Narayana Murthy – e raccoglie 11,5 milioni di sterline (più di 14 milioni di dollari) in dividendi annuali dalla società. Quest’ultima è strettamente legata all’esercito israeliano, poiché impiega solo ex militari israeliani, ed è co-diretta dall’imprenditore israeliano Uri Levine, che ha prestato servizio [4] nell’unità di intelligence militare israeliana 8200 [5] , un’agenzia d’élite responsabile della raccolta [6] di informazioni private sui palestinesi. Il suocero di Sunak, fondatore di Infosys, intrattiene anche legami con i reali inglesi, tra cui il principe Andrea, accusato di pedofilia.

Sebbene il legame tra Israele e Regno Unito sia storico, risalente a ben prima della Dichiarazione Balfour del 1917 in cui si stabiliva la volontà di creare lo Stato ebraico in Palestina, la Roadmap 2030 arriva in un momento in cui le critiche a Israele per la violazione dei diritti dei palestinesi sono notevolmente aumentate. Il governo Netanyahu, infatti, ha intensificato le violenze contro i palestinesi, per i quali il 2022 è stato l’anno a più alto tasso di mortalità dal 2004: ne sono stati uccisi, infatti, circa 146 e quest’anno potrebbe essere ancora più fatale, in quanto solo nei primi tre mesi ne sono stati uccisi 89, secondo i dati delle Nazioni Unite. Per questo, le associazioni per i diritti umani e le ONG filopalestinesi hanno duramente criticato l’accordo tra i due Stati e la decisione del Regno Unito di non considerare i comportamenti discriminatori di Israele nei confronti dei palestinesi. L’associazione Friends of Al-Aqsa (FOA) ha affermato che «Il governo britannico ha la responsabilità di chiamare Israele per quello che è – uno Stato di apartheid – e di imporre sanzioni a Israele per le sue flagranti e ripetute violazioni del diritto internazionale e sistematiche violazioni dei diritti umani».

Israele e Regno Unito formano l’asse portante dell’anglo-sionismo insieme alla NATO, la quale non di rado ha compiuto operazioni militari anche per conto dello Stato ebraico, specie in Medioriente.

[di Giorgia Audiello]