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La scuola, il dialogo e l’ansia

Oggi il problema della scuola è l’ansia. Il tema ‘scuola’ negli anni, nei secoli, si è rivestito di innumerevoli aspetti. In un modo elevato si può considerare preminente, alla maniera antica, il rapporto maestro-discepoli, se alla scuola si vuol dare il connotato di luogo-tempo in cui si è studiato e imparato qualcosa. Sappiamo invece che la nostra memoria, più o meno recente, è legata ai docenti che abbiamo avuto, indipendentemente da quel che ci hanno insegnato, al clima delle scuole e delle classi, ai compagni con cui eravamo amici.

Nessuno o quasi nessuno sa che cosa sia la scuola. Tutti o quasi tutti sanno che cosa dovrebbe essere.

La scuola è come l’amore: puoi darne molte definizioni ma è la tua esperienza, sono i tuoi incontri, le tue decisioni al riguardo a chiarirne i contorni, a fornirne una visione e un orizzonte. Se invece vuoi usare il termine ‘amore’ in senso generale, ecco le banalità più sconcertanti, i luoghi comuni, le ovvietà o le provocazioni che non raggiungono pienamente la sostanza.

La sostanza della scuola, come dell’amore, come di molte realtà e di molti sentimenti è “l’altro”, la sostanza consiste nella qualità delle relazioni che si è in grado di attivare e mantenere.

La scuola, sia nella sua gestione quotidiana, sia nello sviluppo di contenuti da affrontare va improntata al dialogo, cioè allo schema introdotto da Platone. La ricerca della verità e l’esposizione dei risultati acquisiti dalla conoscenza, cioè il compito del docente, è di spiegare calando leggi fisiche, fatti storici, interpretazioni, invenzioni, descrizioni del mondo, produzioni artistiche e letterarie nella realtà attuale dei fatti, nel confronto con esperienze reali o possibili.

E questo vale se vuoi fare capire (‘insegnare’ vuol dire ‘tracciare una strada’) il secondo principio della termodinamica, i confini attuali tra Italia e Austria, la Primavera di Botticelli, perché in Sud Africa c’è una popolazione di origine olandese, perché Dante ha messo Ulisse nell’Inferno, che cos’è il metabolismo, che cos’è un motore a scoppio, perché in Russia si studiava francese, che cos’è la Grande Muraglia ecc. ecc.

Se il dialogo è il metodo giusto, cioè il far emergere il rapporto tra conoscenza e realtà, il mito, cioè il racconto, ne è il complemento indispensabile, tanto per restare a Platone. Prendere un racconto, una lirica romantica, una pagina di diario, un romanzo di fantascienza per attivare i meccanismi di interpretazione; ma non in modo bilaterale, come risposta corretta a domande, bensì come serie di passaggi ulteriori ottenuti attraverso un dialogo, in modo che in classe si formi un clima collaborativo, intersoggettivo.

La classe è teatro perché teatro è la vita, scriveva Pirandello. E gli spunti sono infiniti. Poi ci saranno anche le interrogazioni individuali, i singoli accertamenti ma dopo che all’ordine del giorno, tutti insieme, si siano affrontati e sviluppati i temi e i problemi.

Ho letto una interessante intervista a Paolo Crepet sul tema dell’ansia a scuola. Spero anch’io che l’esame di maturità non venga snaturato a discorsini inutili su quello che vuoi fare da grande. L’ansia non si cura con la rassegnazione, l’ignoranza non si cura promuovendo tutti, il potere non si esercita bocciando chi ti è antipatico o castrando i professori con compiti punitivi.

La scuola è per tutti ma non per chiunque, non in qualunque modo. I devastanti errori del passato non si superano rinunciando al proprio ruolo.

E il ruolo dello studente è di capire, di imparare che gli altri sono i miei alleati, non i miei nemici. E che le sfide si superano insieme perché non siamo tutti sempre uguali, e che il genio, il primo della classe non è qualcuno di speciale ma semplicemente chi di noi, ogni volta, al momento giusto, ha una idea vincente che mette a disposizione.

Poi, certo, la competizione esiste: ci sono i cento metri dove ognuno è contro gli altri e c’è la staffetta dove bisogna passarsi bene il testimone. L’importante è non fare confusione.

[di Gian Paolo Caprettini]