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Limoni

La prima sensazione che mi colpisce entrando è l’odore dei limoni. Poi li vedo, aureo contenuto di una grossa valigia aperta ai piedi di un tavolino, il più vicino all’ingresso dell’osteria. Al tavolo siede una persona, un anziano, silenzioso, dignitoso nel suo spezzato grigio. Sembra capitato per caso vicino ad un oggetto che non gli appartiene, forse dimenticato da un avventore precedente.

Limoni di Liguria non trattati, come mi dice la cuoca indicandomene una grossa busta che fa bella mostra di sé sul tavolo della cucina, già acquistata con l’omaggio di rosmarino fiorito d’azzurro.

Il venditore è proprio lui, quel signore silenzioso e timido, di cui mi par di cogliere la difficoltà a calarsi in un ruolo insolito, che non gli appartiene.

Mi viene da pensare a Musta, il piccolo, arguto senegalese che da anni, a tutte le stagioni, se ne arriva col suo espositore e propone con successo agli avventori dell’osteria l’improbabile merce di occhiali da sole, accendini, scimmiette di peluche; o a Rosario, il venditore di rose filippino che incontrai un giorno sul treno delle quattro del mattino, io in partenza per una manifestazione, lui di ritorno da una lunga notte trascorsa lungo la Valle, locale per locale, ad offrire fiori ad innamorati distratti.

Ma qui, in questo silenzio dignitoso, si intuiscono i segni di una povertà recente, capitata tra capo e collo come una maledetta tegola e vissuta con pena.

Una povertà del tempo presente, carica di tragedie individuali e collettive, che cresce e si aggrava col sempre maggior divaricarsi della forbice sociale tra le i poche grandi ricchezze e le infinite grandi povertà.

I miliardi usati per la guerra sono sottratti alle persone e alla natura. Il diritto ad una vita degna se lo porta via la tempesta di ferro e fuoco che si sta abbattendo sul destino di tutti. Mi torna in mente Atene schiacciata dal memorandum. Vi rimasi a lungo nel 2015 e vidi, accanto ai poveri di sempre, le nuove povertà di una borghesia piccola e media precipitata nella miseria. Famiglie costrette ad accamparsi con le loro masserizie nei parchi perché non più in grado di pagare l’affitto. Lunghe code alle mense autogestite. L’ambulatorio popolare Elleniko a cui affluivano i medicinali della solidarietà internazionale per far fronte alla chiusura degli ospedali pubblici.

Di memorandum morì Jorgos, il compagno che mi aveva ospitata in quei mesi e che un tumore alla vescica non curato si portò via in brevissimo tempo. Memorandum imposti dal governo di quella stessa Unione Europea che ora ha votato in Parlamento, a larghissima maggioranza, l’impiego del fondo di coesione sociale e del PNRR per finanziare l’industria bellica.

Intanto l’osteria del tardo pomeriggio si anima. Qualcuno si avvicina alla valigia, si porta via per pochi spiccioli parte di quel tesoro che sa di sole e di terre scabre, alte sul mare. Vorrei sapere il nome, la storia di quell’uomo che mi sembra un messaggero venuto da lontano, ma non oso domandare; mi limito ad offrirgli un caffè che accetta ricambiando con un sorriso; poi chiude la valigia, ringrazia e se ne va.

Mentre scrivo ho davanti a me qualcuno di quei frutti. Il loro aroma “mi piove in petto una dolcezza inquieta”.

[di Nicoletta Dosio – da sempre attiva nelle lotte sociali e politiche sul territorio piemontese, è uno dei volti storici del Movimento NO TAV. Condannata ai domiciliari per aver partecipato a una manifestazione pacifica del Movimento, ma rifiutandosi di sottostarvi e divenire così “carceriera di sé stessa”, Nicoletta è stata imputata di almeno 130 evasioni, che le sono valse la condanna a oltre un anno di carcere presso il penitenziario di Torino]