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Come i media possono cambiare la realtà: l’esempio della manifestazione di Erdogan

Un modo con cui si può orientare l’opinione pubblica concerne le manifestazioni: attraverso le immagini e la narrazione di un evento, si può legittimare e amplificarne la riuscita, avallando una protesta o, al contrario, si può ignorare, “ridimensionare” una contestazione, se risulta indigesta al Sistema. Modificare la realtà dei fatti, addomesticandoli, è una pratica consueta per i mezzi di informazione, anche se deontologicamente scorretta.

La stampa ha, infatti, il potere di demonizzare la piazza o di esaltarla schierandosi, per esempio, in modo ideologico e totalmente acritico dalla parte dei manifestanti. I media possono addirittura arrivare a inscenare manifestazioni, distorcere le notizie o alterare le immagini riguardanti una protesta o, nel caso in cui questa riguardi migliaia di persone ma sia “scomoda”, denigrarla, distorcerla, minimizzare, per esempio, il numero dei partecipanti, se non addirittura censurarla, oppure puntare sugli elementi più coloriti della piazza per far passare l’idea che i manifestanti siano tutti dei pazzi paranoici. 

Il potere delle immagini è in grado anche di veicolare l’idea del consenso da parte della popolazione nei riguardi di un governo o di un politico, in particolare in quei Paesi in cui vige un controllo più serrato sui mezzi di informazione. 

Un esempio ci viene dalla Turchia, dove si va al ballottaggio il 28 maggio, in quanto il presidente Recep Tayyip Erdogan non è riuscito a superare la soglia del 50 per cento dei voti e a vincere al primo turno, assicurandosi il 49,51 per cento dei voti, mentre lo sfidante Kamal Kilicdaroglu ha ottenuto il 45,06 per cento delle preferenze. 

Il 7 maggio, a una settimana dalle elezioni, Erdogan ha tenuto un comizio a Istanbul al quale, secondo le fonti locali, hanno partecipato almeno 1,7 milioni di persone [1]. Le immagini e i video della massa di partecipanti hanno fatto il giro del mondo e sono state riprese anche dai media internazionali [2]. Domenica scorsa, il presidente turco è tornato in piazza e ha festeggiato i risultati ottenuti nelle elezioni presidenziali. 

Un video pubblicato su TikTok [3] mostra la falsificazione dei media locali riguardo le immagini trasmesse in diretta dalle tv nazionali. Una persona, all’interno di un ufficio, riprende la diretta di un TG dal titolo “Il presidente Erdogan a Istanbul”, mostrando un bagno di folla che attende il comizio del presidente. La telecamera dello smartphone si sposta dallo schermo del televisore che trasmette la diretta, passando per la sala riunioni, arrivando alla finestra del palazzo. L’inquadratura si sposta verso il basso del grattacielo, mostrando lo spazio antistante alla moschea dove è radunata la folla. Dal video si capisce che lo spazio per il pubblico è delimitato da un cordone azzurro e che i media hanno volutamente distorto e amplificato il numero della gente riunita che dall’alto non arriva a qualche migliaio. Le immagini, invece, trasmesse dal TG, grazie a inquadrature strette e ben calibrate, danno l’idea di una moltitudine di gente, di almeno decine e decine di migliaia di partecipanti. Il video è diventato virale e ha raggiunto in pochi giorni 32 mila condivisioni e 7644 commenti, perlopiù derisioni nei confronti della messinscena.

La “regia” ha voluto far credere, a chi avrebbe visto il servizio da casa, che la manifestazione fosse molto più numerosa, investendo anche sul pathos che si sarebbe trasmesso per un evento corale.

Questo genere di falsificazione non è nuovo nemmeno ai media anglosassoni. La giornalista Becky Anderson, gli autori e tutta la troupe della cnn sono stati scoperti [4] nel 2015 – grazie a un video divenuto virale – mentre inscenavano una manifestazione di una decina di persone al confine della zona transennata dalla polizia tra il Borough Market e London Bridge, dove il sabato prima era avvenuto l’attentato londinese. La troupe non solo spostava le persone come se fossero dei figuranti per migliorare le inquadrature, ma era arrivata addirittura a impartire loro ordini su quello che avrebbero dovuto fare.

[di Enrica Perucchietti]