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Makhmour, il cuore dell’utopia curda che resiste a ogni aggressore

Sabato mattina il campo profughi di Makhmour, simbolo dell’esodo del popolo curdo, ha respinto l’ennesimo attacco dell’esercito iracheno. Quella che oggi può essere considerata una piccola città da 14mila abitanti situata nel Sud Kurdistan (Nord dell’Iraq) è stata cinta d’assedio dai militari con l’ausilio dei mezzi blindati. «Sono venuti al mattino e, appena arrivati, la gente è scesa in piazza con tutte le sue forze e li ha fermati. Non abbiamo nulla da perdere, la nostra storia è piena di resistenze e martiri», ha dichiarato Bewar Unver, membro del Comitato Relazioni Esterne del campo di Makhmour. In risposta alla tenacia della resistenza curda, l’esercito iracheno ha aperto il fuoco ferendo gravemente diversi abitanti del campo. Nonostante ciò, dopo ore di assedio, la popolazione di Makhmour ha respinto l’attacco e costretto i militari alla fuga.

Nel 1994, i villaggi curdi sulle alture del Bohtan (Kurdistan del Nord) vennero incendiati dalla Turchia, che diede così inizio a uno dei tanti esodi del popolo curdo. In migliaia arrivarono a piedi fino a Makhmour, dando vita a un campo profughi su un terreno assegnato dall’Iraq alle Nazioni Unite, che dal 2018, su pressione della Turchia, hanno cessato ogni sostegno alla popolazione del campo, mantenendo un’autorità esclusivamente formale e mostrandosi accondiscendente nei confronti dell’embargo totale imposto dall’Iraq dall’agosto 2019, con le milizie a presidiare i vari checkpoint nei pressi di Makhmour. Il Kurdistan National Kongress (KNK) ha lanciato un appello urgente a Filippo Grandi, l’Alto commissario dell’UNHCR (Agenzia ONU per i rifugiati), per fermare l’aggressione dell’esercito iracheno contro i rifugiati curdi del campo di Makhmour, ufficialmente sotto tutela dell’organo delle Nazioni Unite. «L’UNHCR ha la responsabilità e i mezzi diplomatici e politici per impedire all’Iraq, che nel 2016 ha firmato un memorandum d’intesa con l’agenzia per migliorare la protezione dei rifugiati, di violare i diritti degli abitanti di Makhmour. L’UNHCR deve intervenire immediatamente per salvare le vite delle persone le cui case in esilio sono state circondate dalle forze armate irachene», ha scritto il KNK.

Makhmour non è interessata esclusivamente da attacchi mossi dall’Iraq. Come ricordato nella lettera indirizzata a Filippo Grandi, il campo profughi è stato fin dalla sua istituzione un bersaglio perenne dello Stato turco, che negli anni ha sferrato [1] decine di attacchi con l’ausilio di aerei da guerra e droni. Il 15 giugno 2020, nel silenzio della comunità internazionale, 60 aerei da guerra sono partiti [2] dalla penisola anatolica per bombardare 81 località del Kurdistan iracheno, tra cui appunto Makhmour. Una delle tante violenze che inseguono l’obiettivo dichiarato della Turchia, e del presidente Recep Tayyip Erdogan, ovvero la distruzione del campo profughi nonché l’eliminazione o dispersione dei suoi residenti.

L’attacco di ieri, sferrato dall’Iraq in un quadro d’intesa geopolitica con la Turchia, rientra nel piano di demonizzazione del popolo curdo e della sua gestione democratica. Makhmour rappresenta infatti un’esperienza di autonomia e di confederalismo democratico, una forma di governo che ancora oggi appare utopica perché basata su rapporti orizzontali e non gerarchici, equa distribuzione delle risorse, parità dei sessi e rapporto simbiotico con la natura. L’autogestione teorizzata dallo storico leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) “Apo” Abdullah Ocalan si basa sull’applicazione del municipalismo libertario (esaltazione della democrazia diretta) e dell’ecologia sociale. Come ricorda Mirca Garuti in un articolo [3] di Nena News, il campo di Makhmour è diviso in 5 zone, composte a loro volta da 4 quartieri. Esistono due Assemblee istituzionali, una Popolare e l’altra delle Donne, all’interno delle quali ogni comitato del campo ha un proprio rappresentante. Ciascun quartiere può contare su una propria assemblea, convocata settimanalmente, che discute sui problemi e adotta decisioni, da riportare successivamente alla Popolare. Alla guida dei nove comitati o istituzioni (scuola, sanità, economia, cultura, donne, orfani, lavoro, ecologia, gineologia) vi sono un uomo e una donna, eletti in modo diretto. Negli ultimi anni, a Makhmour sono state pavimentate diverse strade, è stato realizzato un anfiteatro per attività culturali ed è stato costruito un piccolo ospedale attivo 24 ore su 24 in cui lavorano circa 50 medici. A questi si sono aggiunti un Centro per bambini down, una struttura per la raccolta differenziata e un sistema di illuminazione per migliorare la sicurezza nel campo, minacciata soprattutto dall’ISIS che è ancora presente nel nord dell’Iraq. Va ricordato come i curdi siano stati in prima linea contro la minaccia jihadista, al fianco di quell’Occidente che oggi chiude gli occhi di fronte alle violenze di Turchia e Iraq.

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Kurdistan

Le esperienze di autonomia e confederalismo democratico come Makhmour (o il Rojava [5]/Kurdistan siriano) alimentano la volontà di indipendenza da parte dei curdi, nonché dei pilastri su cui potrebbe fondarsi il futuro Stato, riconosciuto a livello internazionale, del Kurdistan. La riunificazione del quarto gruppo etnico più popoloso del Medio Oriente (circa 25 milioni di persone) è fermamente osteggiata dal presidente turco Erdogan, poiché implicherebbe la presenza di un nuovo grande Stato nella parte orientale della penisola anatolica. Una presenza che striderebbe non poco con la natura imperialistica [6] della Repubblica turca, a caccia di un posto tra le grandi potenze sulla scia dell’esperienza ottomana.

[di Salvatore Toscano]