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Le 38 ferrovie abbandonate che si possono riaprire a poco prezzo per migliorare l’Italia

In quasi tutte le Regioni italiane, sono tantissime le linee ferroviarie sospese e chiuse all’esercizio. A spiegarlo nel dettaglio è il nuovo dossier [1]Futuro sospeso”, curato dall’Alleanza per la Mobilità Dolce AMODO in collaborazione, tra gli altri, con Italia Nostra, Legambiente e UTP AssoUtenti. Dati alla mano, nel rapporto si sostiene che 38 di quelle linee, per un totale di 1200 chilometri, sarebbero meritevoli di “essere riaperte”: se recuperate al trasporto passeggeri, afferma l’organizzazione, esse potrebbero infatti “sviluppare un potenziale traffico ordinario (pendolare o anche escursionistico) senza spese eccessive” e, trattandosi di tracciati che hanno conservato buone condizioni, sarebbero “facilmente ripristinabili in tempi brevi”.

Il Piemonte, dove una decina di anni fa, in seguito a una crisi finanziaria, la giunta guidata dall’allora governatore Roberto Cota decretò la sospensione di una dozzina di tratti ferroviari, detiene il maggior numero di linee sospese: ben 14. Seguono Sicilia (5), Lombardia, Lazio e Puglia (3), Marche, Molise, Campania e Calabria (2), Toscana e Abruzzo (1). All’interno del dossier si parla anche delle linee interrotte in seguito a crolli di viadotti (l’esempio più noto è quello della Caltagirone – Gela) o di frane (come la Priverno – Terracina): l’organizzazione sottolinea come si sia avuto “modo di sospettare” che tali situazioni venissero “prese a pretesto per dilazionare sine die la riattivazione”, così da “porre le popolazioni interessate davanti al fatto compiuto”. A fare eccezione sono invece alcuni tratti ferroviari chiusi da molto tempo (come la Fano-Urbino o la Orte-Civitavecchia), oppure interessati da programmi di ricostruzione incerti (ad esempio, la Sangritana), per cui sono richiesti investimenti più consistenti.

La denuncia dell’organizzazione è molto chiara: “Molto spesso aleggia la malcelata speranza da parte di alcune Regioni – che continuano a considerare queste linee un fardello economico o anche solo gestionale, anziché una risorsa da sfruttare più razionalmente – di liberarsi di tali oneri, nell’indifferenza dei territori interessati, come del resto avvenne all’epoca delle massicce soppressioni degli anni Cinquanta e Sessanta”, si legge nel report. E, sebbene “in certi casi ci sono impegni abbastanza precisi da parte delle aziende o degli Enti territoriali competenti a procedere nella riapertura (per esempio, la Alcamo – Milo – Trapani ora inserita nel Recovery Plan, con nomina di un commissario ad acta)”, alla prova dei fatti “i tempi previsti rimangono spesso vaghi e condizionati da un corollario di vincoli finanziari o normativi”.

Nel dossier è presente un intero paragrafo riferito alla questione PNRR, che comprende importanti risorse per le ferrovie regionali interconnesse al fine di “migliorarne i livelli di sicurezza, potenziamento del sistema ferroviario utilizzato come trasporto pubblico locale, interventi per rafforzare il collegamento delle linee regionali con la rete nazionale ad alta velocità”. Pur riconoscendo al PNRR il merito di destinare “ingenti risorse al settore ferroviario” anziché a nuove autostrade, “raccogliendo così le indicazioni dell’Unione Europea” atte a “contrastare i cambiamenti climatici”, nel rapporto emergono una serie di criticità: alcune opere, prima tra tutte la realizzazione di una nuova linea ad Alta Velocità tra Salerno e Reggio Calabria, “sembrano concepite con tracciati molto audaci attraverso la catena appenninica” che implicano “enorme impegno finanziario e possibili pregiudizi ambientali”. In più vi è il rischio dell’“assalto alla diligenza” da parte di territori che si sentono trascurati, che sovente propongono soluzioni che “rischiano di penalizzare la fruizione del servizio ferroviario”, come dimostrerebbe ad esempio il caso dell’“arretramento della linea Adriatica nel territorio di Pesaro a monte dell’autostrada”. L’organizzazione ritiene invece che le risorse a disposizione “vadano spese oculatamente, a cominciare proprio da quei modesti interventi, come la riattivazione di infrastrutture ferroviarie già esistenti, che potrebbero fornire da subito una risposta alle esigenze di mobilità sostenibile per le popolazioni interessate”.

Nonostante tali evidenze, che insieme a molte altre fotografano un’Italia assolutamente poco propensa a investire sulla manutenzione ordinaria e straordinaria, governi di diverso colore si ostinano a puntare tutto sulla promessa della realizzazione di grandi opere. Gli esempi più eloquenti sono quelli del Tav, sulla cui costruzione Conseil d’orientation des infrastructures francese ha recentemente aperto [2] la strada a uno slittamento in calendario (sebbene l’Esecutivo abbia rimarcato la priorità dell’opera), e del Ponte sullo Stretto, che il governo italiano è pronto a pubblicizzare [3] con 7 milioni di euro nonostante manchi ancora di un progetto esecutivo. Con tanti saluti a una vera, ragionata e pervasiva cura del territorio.

[di Stefano Baudino]