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I fondi speculativi hanno guadagnato sette miliardi scommettendo contro le banche

La crisi del settore bancario che si protrae dal mese di marzo e che ha visto il fallimento, e il relativo salvataggio, di tre importanti istituti di credito americani e di uno svizzero – SVB, Signature Bank, First Republic e Credit Suisse – ha anche dei “vincitori”, ossia investitori che dal crollo delle azioni bancarie hanno accumulato cifre ingenti: si tratta dei grandi fondi speculativi (hedge fund), vale a dire “squali finanziari” che scommettendo contro le banche hanno potuto guadagnare miliardi di dollari, prevedendone la svalutazione dei titoli. Secondo il gruppo di dati Ortex, i profitti degli speculatori contro le banche europee e americane hanno raggiunto complessivamente i 7,2 miliardi di dollari: si tratta del più grande bottino dalla crisi finanziaria del 2008.

I venditori allo scoperto (in inglese short sellers) prendono in prestito azioni per rivenderle e riacquistarle ad un prezzo minore successivamente, prevedendo che il valore di quelle stesse azioni calerà a causa di una crisi di fiducia, in questo caso nelle banche, o per altri motivi. Il profitto deriva dalla differenza tra il costo di vendita e quello di riacquisto. Attraverso queste operazioni finanziarie, i fondi hanno guadagnato circa 1,3 miliardi di dollari scommettendo contro le azioni di SVB, 848 milioni di dollari dalle scommesse contro First Republic – con il prezzo delle azioni crollato dell’89% a marzo – e 684 milioni di dollari dalla vendita allo scoperto di azioni Credit Suisse. In quest’ultimo caso, una crisi di fiducia nell’istituto svizzero ha fatto crollare le sue azioni del 71%. Gli speculatori hanno scommesso anche contro le azioni di Deutsche Bank, anche se i profitti derivanti dalle scommesse contro quest’ultima sono stati più contenuti: le azioni della banca tedesca, infatti, avevano già toccato il fondo il 24 marzo – giorno in cui il cancelliere Olaf Scholz è stato costretto a respingere i timori sulla salute della banca – e da allora hanno ripreso quota.

«Marzo è stato il mese più redditizio per i venditori allo scoperto nel settore bancario dal crollo finanziario del 2008», ha affermato il co-fondatore di Ortex Peter Hillerberg, citato [1] dal Financial Times. Tra i fondi d’investimento che hanno guadagnato di più dalla crisi del settore bancario compaiono Argonaut Absolute Return, Marshall Wace e Azora Capital. Il secondo, in particolare, è uno dei fondi più grandi al mondo con sede a Londra e ha venduto allo scoperto lo 0,7% delle azioni di Deutsche Bank: gli investitori hanno incassato circa 40 milioni di dollari dalle scommesse contro il prestatore tedesco. Anche Barry Norris, chief investment officer di Argonaut Capital, ha dichiarato di aver goduto di un mese “stellare”, grazie alle scommesse contro le banche, tra cui Credit Suisse e First Republic. Il suo fondo ha guadagnato oltre il 6%. Azora Capital, invece, ha tratto profitto dalle scommesse contro le banche regionali statunitensi.

Gli Hedge fund prevedono che il settore bancario andrà incontro a ulteriori crisi: l’interesse allo scoperto in First Republic rimane, infatti, solo marginalmente al di sotto del massimo di marzo pari al 38,5% – contro l’1,3% dell’inizio di marzo – mentre anche le scommesse contro Deutsche Bank sono diminuite di poco. Le difficoltà del settore, dunque, sono state solo temporaneamente arginate grazie all’assistenza di liquidità della Federal Reserve annunciata il mese scorso. Secondo Norris, ciò ha ridotto il rischio di fallimento delle banche regionali statunitensi, ma l’elevato tasso d’interesse applicato sui prestiti potrebbe portare a «un impatto catastrofico sui margini netti d’interesse, creando un rischio di solvibilità». Di conseguenza, se è cessata la crisi di liquidità, potrebbe cominciare quella di solvibilità e i fondi speculativi sono già pronti a trarne vantaggio.

Non è un mistero, infatti, che gli speculatori finanziari traggano il massimo dei benefici proprio dalle crisi e, proprio per questa ragione, non si può escludere che esse vengano previste se non “pianificate” in anticipo dagli squali della finanza. Sono gli stessi fondi che, del resto, speculano anche sui debiti sovrani degli stati, utilizzando le stesse modalità e gli stessi strumenti finanziari. È quanto successo nell’agosto 2022 con il debito pubblico italiano [2], quando i fondi speculativi hanno preso in prestito obbligazioni italiane per un valore complessivo di 39 miliardi di euro, vendendole allo scoperto. Si tratta anche di un modo per esercitare pressione sulle scelte politiche dei governi, trasformando la sfera finanziaria in un’arma di ricatto politico.

Solo una maggiore regolamentazione del settore finanziario da parte delle istituzioni può ridimensionare l’enorme potere d’influenza dei fondi speculativi sui governi e sugli istituti di credito. Proprio per questa ragione, dopo la crisi finanziaria del 1929, il Congresso degli Stati Uniti varò nel 1933 il Glass-Steagall Act, volto a controllare la speculazione finanziaria. La legge, però, fu poi abolita nel 1999 – su pressione del mondo finanziario –da Bill Clinton con la nuova legge Gramm-Leach-Bliley Act, che ha eliminato la distinzione tra banche commerciali e banche d’investimento. Da quel momento si è affermata una totale deregolamentazione del sistema finanziario da cui è scaturita anche la crisi del 2008. Di conseguenza, solo un maggiore controllo sulle operazioni finanziarie può impedire certe azioni speculative: tuttavia, fino ad ora, la politica sembra più propensa ad assecondare l’avidità dei fondi d’investimento che a difendere gli interessi dei cittadini e la stabilità dei debiti sovrani.

[di Giorgia Audiello]