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Deforestazione e violazione dei diritti umani: il colosso dei cereali finisce in tribunale

La Cargill – multinazionale statunitense attiva principalmente nel settore alimentare, la più grande al mondo nel settore del commercio dei cereali – è stata denunciata per aver chiuso un occhio sulla deforestazione e sulle violazioni dei diritti umani legati alla sua catena di approvvigionamento di soia brasiliana. A muoversi contro l’azienda l’organizzazione ambientalista ClientEarth, che ha fatto sapere di aver presentato la denuncia negli Stati Uniti sostenendo che la Cargill non avrebbe operato con la cosiddetta due diligence, letteralmente la dovuta diligenza. “La Cargill non sta monitorando adeguatamente grandi quantità di soia che commercia, movimenta nei suoi porti o spedisce ai mercati globali con il fine di identificare ed eliminare i collegamenti con la deforestazione e le violazioni dei diritti umani”, si legge in un comunicato stampa [1] di ClientEarth, che precisa come l’azienda starebbe guidando “le violazioni dei diritti delle comunità indigene, afro-brasiliane e di altre comunità dipendenti dalle foreste” essendo colpevole della “distruzione ambientale negli ecosistemi vulnerabili del Brasile”. Ad essere danneggiate, nello specifico, sarebbero la foresta pluviale amazzonica, la foresta atlantica e la savana del Cerrado.

Dettagli rilevanti, costituendo tali aree “punti caldi della biodiversità e depositi di carbonio critici” ed essendo gli indigeni “i loro migliori guardiani centrali in ottica protezione e ripristino di questi ecosistemi”. «In qualità di uno dei più grandi commercianti di soia che si riforniscono dal Brasile, Cargill dovrebbe attuare la migliore pratica mondiale per impedire che la soia legata alla deforestazione e alle violazioni dei diritti umani invada il mercato alimentare globale», ha dunque sottolineato l’avvocato di ClientEarth Laura Dowley, denunciando un problema di estrema importanza. Come precisato dall’organizzazione, infatti, il rapido aumento della deforestazione guidata dall’agricoltura sta facendo avvicinare l’Amazzonia ad un “punto critico”: gli scienziati affermano che in tal caso la foresta pluviale si trasformerebbe in una “prateria secca” ed emetterebbe “grandi quantità di anidride carbonica”, aggiungendosi alla “quasi metà del Cerrado” già “andata perduta”.

È in tale contesto, dunque, che va collocato l’operato della Cargill, la quale già in passato sembra non essersi distinta per la tutela dell’ambiente. “La distruzione di vaste aree dell’Amazzonia è stata strettamente collegata all’apertura del 2003 del controverso porto commerciale della Cargill a Santarém”, denuncia infatti l’organizzazione, che sottolinea come esso abbia “facilitato le esportazioni al di fuori della regione ed aperto vaste aree forestali alla produzione di soia”. Un modus operandi non idilliaco, quindi, che a quanto pare l’azienda tende a seguire ancora oggi. “La società sta progettando di costruire un nuovo grande porto a valle di Abaetetuba”, si legge nel comunicato stampa, in cui poi viene aggiunto come siano appunto state rilevate da ClientEarth carenze relative alla “due diligence”. «La scarsa due diligence di Cargill aumenta il rischio che la carne venduta nei supermercati di tutto il mondo sia allevata con la cosiddetta soia ‘sporca’», ha dichiarato a tal proposito Laura Dowley, specificando che ciò violerebbe «il codice internazionale sulla condotta aziendale responsabile».

È su tale base, dunque, che l’organizzazione ha sporto denuncia nei confronti della Cargill, la quale invece afferma che “le sue politiche includono sofisticati sistemi di monitoraggio, verifica e segnalazione per porre fine alla deforestazione legata alla produzione di soia nella sua catena di approvvigionamento”. Sarà anche per questo, dunque, che la multinazionale si è “impegnata a non deforestare l’Amazzonia e il Cerrado entro il 2025”, ponendosi un obiettivo che però non sembra al momento essere perseguito nel migliore dei modi. Infatti, tralasciando quanto sostenuto da ClientEarth, l’anno scorso un’indagine [2] condotta da tra gli altri Greenpeace Unearthed e dal Bureau of Investigative Journalism aveva rivelato come Cargill stesse acquistando soia e mais da un’azienda legata alla distruzione della foresta pluviale amazzonica, mentre nel 2020 un lavoro [3] del The Guardian e degli stessi Greenpeace Unearthed e Bureau of Investigative Journalism aveva sottolineato come catene quali Tesco, Asda e McDonald’s vendessero polli nutriti con soia fornita da Cargill e legata a migliaia di incendi boschivi nonché ad almeno 800 chilometri quadrati di alberi abbattuti nel Cerrado. Le zone d’ombra di Cargill, su cui ha fatto luce ClientEarth, sono dunque solo le ultime emerse in ordine di tempo.

[di Raffaele De Luca]