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Il calcio come espressione di una città: il Napoli è Campione d’Italia

All’alba del giorno che ha incoronato Napoli Campione d’Italia, la città ha optato per un risveglio apparentemente lento, nascondendo la trepidante attesa sotto il costume della routine. Con il passare delle ore le strade si sono riempite di maglie azzurre e i miei pensieri sono stati scossi dal suono di clacson e trombette, che mi hanno riportato al tempo presente. Nel frattempo la mente aveva già viaggiato, e non poco. Prima verso il passato, ricordando i momenti che mi avevano portato lì e soprattutto le persone che avrebbero tanto voluto vivere questa vittoria e non hanno potuto. Poi al futuro e dunque agli abbracci, alle lacrime, alla felicità di un popolo intero.

Adesso posso dirlo: il Napoli è Campione d’Italia. I festeggiamenti dopo il pareggio con l’Udinese hanno illuminato una notte attesa 33 anni, durante i quali più generazioni si sono unite sotto l’ombrello ampio dell’identità e della comunità, due capisaldi dello sport e del tifo. L’emozione aveva già rotto gli argini della scaramanzia da qualche mese, esplodendo in larga parte domenica scorsa, quando una marea azzurra si è riversata tra le strade della città e tra i sediolini dello stadio Diego Armando Maradona per celebrare uno scudetto rimandato soltanto di qualche ora. Lo scrittore Maurizio de Giovanni ha definito l’attesa come una «meravigliosa vigilia di Natale». Natale alla fine è arrivato, portando a milioni di tifosi un regalo accarezzato per 33 anni.

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Stadio Diego Armando Maradona, 30 aprile 2023.

Dell’esistenza di quest’articolo saranno sorpresi gli scettici del pallone, che considerano il calcio una mera espressione della massima latina panem et circences, quindi anestetizzante per il popolo nelle mani delle istituzioni; tuttavia il calcio non aliena, al massimo ingloba. L’occhio attento scorge nel calcio la politica, le questioni sociali o l’eredità culturale. L’occhio attento scorge nel calcio, e in generale nello sport di squadra, il senso di comunità, un valore sempre più bistrattato nella società contemporanea plasmata su modelli individualistici.

Napoli vanta un rapporto viscerale con la propria squadra, una sinergia che va al di là del risultato e non si riduce al solo momento della vittoria. Questo dettaglio spiega poi l’intensità della celebrazione, che si carica nel tempo di gioie e delusioni. Non a caso questa notte mi sono sentito parte di unico grande corpo, che da Napoli si estendeva a tutta Italia, arrivando a Londra, New York, Buenos Aires. I napoletani vedono nel Napoli la proiezione dell’acquiescente questione meridionale, dei pregiudizi graffianti, del razzismo con cui l’Italia non ha mai realmente fatto i conti. La geografia sociale insegna che più cresce la discriminazione esterna e più una comunità si stringe intorno a un perno, che può essere culturale – si pensi alla persistenza della memoria nei confronti di Totò, Eduardo de Filippo, Massimo Troisi o Pino Daniele -, storico, geografico e anche sportivo. La presenza del calcio in quest’elenco non può e non deve stupire, poiché come il ricordo del mito di Partenope o della cacciata dell’occupante nazista durante le famose 4 Giornate provocano orgoglio nella popolazione napoletana, anche l’esperienza calcistica non può esimersi da tale reazione chimica.

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L’arrivo di Diego Armando Maradona allo stadio San Paolo, 5 luglio 1984.

Ciò è dovuto in larga parte alla venuta del genio di Lanús, che sbarcato da Barcellona nel luglio del 1984, condusse la città verso la vittoria del primo scudetto. Durante l’annata calcistica ’86/’87, Napoli e i napoletani svilupparono una sorta di coscienza di classe, capendo di poter finire sulle pagine di tutto il mondo anche per eventi positivi e non solo per le notizie di cronaca nera. Mentre la città si lasciava alle spalle la faida tra Nuova Camorra Organizzata e Nuova Famiglia, Diego Armando Maradona mostrò ai napoletani la via della bellezza facendo leva sul seme della ribellione, innato nel popolo partenopeo a causa, secondo la leggenda, della presenza della tomba di Virgilio in città. Parallelamente, Massimo Troisi trasportava sullo schermo le paure, i dubbi e i desideri dei napoletani, in particolar modo di quelli timidi «che vengono discriminati due volte». In contemporanea, Pino Daniele si consacrava come artista di livello mondiale: il musicista aveva inaugurato il suo decennio suonando in apertura del concerto milanese tenuto da Bob Marley allo stadio San Siro, di fronte a 80mila persone. Potrei continuare ma credo si sia capito il senso: la sinergia tra il calcio e la città è così forte a Napoli che i rispettivi periodi di luce e di buio vanno di pari passo.

Così accade che lo scudetto 2022/2023 arriva in un periodo particolare per la città partenopea, al centro di un vero e proprio rilancio, per non dire riscatto, socio-culturale, che si manifesta attraverso la massiccia produzione teatrale e cinematografica (si pensi ai film È stata la mano di Dio e Qui rido io), l’interessamento musicale o il boom di turisti che settimana dopo settimana fanno registrare nuovi record ai botteghini dei siti culturali. Ad esempio, il vicino Parco archeologico di Pompei ha visto [3] aumentare a febbraio i numeri dei visitatori di un imponente 127% rispetto allo stesso periodo del 2022, battendo anche i livelli pre-pandemia. A inizio 2023, il Time ha inserito Napoli tra le 50 città da visitare nel mondo, definendola “non più solo una parte del viaggio, ma la destinazione”.

«Festeggiamo ma non ci dimentichiamo il gas e l’acqua aperti», disse Massimo Troisi durante un’intervista di Gianni Minà post-primo scudetto. Il messaggio ironico risponde, oggi come allora, ai pregiudizi, alle accuse e alle critiche gratuite che piovono dall’alto, forzando una narrazione che pone al centro una Napoli criminale e con poca voglia di fare. Una narrazione che sminuisce la bellezza della città, relegandola su un piano secondario. Ritorna il «noi giochiamo contro tutti quanti» di Maradona pronunciato nel 1987 dopo la sconfitta con la Fiorentina. Una frase assimilata nel tempo, assorbita e penetrata a suon di striscioni razzisti (si pensi al “Benvenuti in Italia” dei supporters dell’Hellas Verona) e comunicati di curve varie (tra tutte bergamasche e friulane) che in occasione dell’imminente festa scudetto hanno “invitato” i tifosi partenopei “ospiti” delle loro città a non celebrare la vittoria in strada per evitare conseguenze. A ciò si aggiungono poi le mancate politiche attive capaci di valorizzare il territorio ed evitare l’esodo di cervelli o l’esaurimento di quelli che decidono di restare.

Sostenere l’assenza di problemi a Napoli vorrebbe dire non essere intellettualmente onesti; discutere sulle radici di tali asperità significa invece mettere in moto il ragionamento critico. Una riflessione politica per una città con un’identità politica chiara, scorgibile tra i suoi vicoli. Una città che supporta e continuerà a supportare quei pendoli culturali e sportivi capaci di oscillare tra la cattiveria gratuita per premiare la sua caparbietà, rafforzare il sentimento di comunità e tramandare un’identità che antepone la bellezza al risultato, l’insieme al singolo, l’aiuto all’indifferenza.

[di Salvatore Toscano]