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Israele utilizza il riconoscimento facciale per aumentare la repressione

Le autorità israeliane stanno utilizzando un sistema sperimentale di riconoscimento facciale, conosciuto come “Red Wolf“, al fine di tracciare i palestinesi e intaccare in maniera ancora più “scientifica” e invasiva la loro libertà di movimento. Lo certifica il nuovo rapporto [1] di Amnesty International, intitolato “Apartheid automatizzato”, che inquadra tale sistema come una componente di un impianto sempre più ampio di sorveglianza con cui il governo israeliano riesce a rafforzare il suo controllo sui palestinesi.

Lo studio, realizzato grazie all’utilizzo di una serie di prove raccolte sul campo nel 2022, all’esame di risorse accessibili pubblicamente e alle testimonianze di abitanti palestinesi e personale militare in servizio e in congedo, si riferisce in particolare alle sole città dei territori palestinesi occupati che vedono al loro interno insediamenti israeliani, ovvero Hebron e Gerusalemme Est.

Nella zona H2 di Hebron, pienamente controllata dalle autorità israeliane, i palestinesi sono sottoposti a durissime limitazioni nei movimenti. Pullulano i posti di blocco e determinate strade, in cui i coloni israeliani dettano legge, sono loro inaccessibili. L’inedito riconoscimento facciale “Red wolf”, utilizzato proprio nei vari checkpoint, secondo il report sarebbe collegato ad altri due sistemi di sorveglianza dell’esercito israeliano: il “Wolf pack“, archivio contenente qualsiasi informazione disponibile sui palestinesi nei territori occupati (dove risiedono, chi sono i loro familiari, se siano o meno ricercati) e il “Blue wolf“, applicazione accessibile alle forze israeliane che rimanda ai dati del “Wolf pack”.

Quando è attivo, il “Red wolf” scansiona il volto di ogni palestinese che transita presso un posto di blocco, ovviamente all’insaputa e senza il consenso della persona in questione, il cui volto viene comparato ai dati biometrici già presenti in archivio. Così, se ad esempio il sistema certifica che il soggetto è ricercato o che nei suoi confronti esista un divieto d’ingresso, questi non potrà procedere nel percorso.

Stando a quanto dichiarato all’organizzazione “Breaking the Silence” da un comandante militare israeliano applicato a Hebron, il quale ha riferito che l’esercito insiste molto sull’ottimizzazione degli algoritmi per il riconoscimento facciale, “Red wolf” sarebbe in grado di riconoscere i volti dei palestinesi addirittura senza l’intervento umano. Secondo altre testimonianze da parte dei soldati, inoltre, l’applicazione “Blue wolf” quantificherebbe l’esatto numero dei palestinesi registrati: sulla base di tale “classifica”, i comandanti premierebbero i battaglioni che hanno totalizzato il punteggio più alto. La competizione interna ai membri dell’esercito originata dal meccanismo di questo “gioco” costituirebbe dunque un incentivo a tenere sotto osservazione il maggior numero possibile di palestinesi.

A Gerusalemme Est, il sistema di riconoscimento facciale è stato aggiornato nel 2017, facendo così ottenere una capacità di sorveglianza senza precedenti. Nella città vecchia, conosciuta come Mabat 2000, gli israeliani hanno il controllo di migliaia di telecamere a circuito chiuso. Amnesty le ha mappate tutte: ce ne sarebbero addirittura una o due ogni cinque metri. I ricercatori di Amnesty hanno identificato i venditori di varie apparecchiature installate in quest’area: l’azienda cinese Hikvision produce telecamere a circuito chiuso ad alta risoluzione che vengono montate su infrastrutture militari in zone abitate; la TKH Security, società dei Paesi Bassi, produce invece telecamere installate in luoghi pubblici e presso strutture di polizia.

L’impatto di questo controllo certosino sui movimenti dei palestinesi è incredibilmente significativo. Una residente, Neda, lo spiega così: «Vengo osservata tutto il tempo. Ogni volta che sono in strada ho brutte sensazioni: quando vedo una telecamera, mi prende l’ansia. È come se venissi sempre trattata come un bersaglio». Enormi sono poi le conseguenze sul diritto alla libertà di espressione e riunione: «Chi manifesta sa che, anche se non verrà arrestato sul posto, il suo volto sarà catturato dalle telecamere e potrà essere arrestato in seguito», commenta un giornalista palestinese.

[di Stefano Baudino]