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La “concorrenza sleale” del grano ucraino rischia di minare l’unità europea

Recentemente tre Paesi dell’Europa orientale – Polonia, Ungheria e Slovacchia – hanno deciso di chiudere le frontiere al grano e altri cereali provenienti dall’Ucraina. Il primo Paese a prendere la decisione, lo scorso 15 aprile, è stato la Polonia, in seguito alle numerose proteste degli agricoltori locali, che hanno manifestato conducendo trattori e altri mezzi per le strade di Varsavia. La protesta è andata avanti per settimane e ha coinciso anche con la visita nella capitale del presidente ucraino Zelensky: i coltivatori hanno contestato l’abolizione delle tariffe doganali sul grano ucraino che ha messo in difficoltà il settore facendo crollare i prezzi. Le rimostranze hanno portato alle dimissioni del precedente ministro dell’agricoltura polacco, Henryk Kowalczyk, lo scorso 5 aprile, sostituito con l’attuale ministro, Robert Telus. Anche Ungheria e Slovacchia hanno comunicato di voler seguire l’esempio di Varsavia, suscitando la reazione di Bruxelles: la portavoce della Commissione Ue per l’agricoltura e il commercio, Miriam García Ferrer, ha infatti ricordato che l’area commerciale è competenza esclusiva dell’Unione europea e quindi viene gestita a livello comunitario. «Per questo, azioni unilaterali da parte dei Paesi Ue nel quadro della politica commerciale non sono consentite», ha detto. Tuttavia, al momento l’Ue ha adottato un atteggiamento “moderato”, ammonendo le nazioni est europee, senza adottare le vie legali per evitare di indebolire l’unità del fronte europeo a sostegno dell’Ucraina e contro la Russia.

Con il blocco di alcuni porti del mar Nero, causato dalla guerra in Ucraina, grandi quantità di grano che dovevano essere esportate altrove sono finite nei Paesi confinanti dell’Europa centrale – tra cui oltre a Polonia, Ungheria e Slovenia, figurano anche Romania e Bulgaria – rimanendo bloccate lì, anziché transitare verso altre destinazioni e saturando i mercati locali. L’eccesso di offerta, infatti, ha comportato un crollo dei prezzi, generando una concorrenza al ribasso per i coltivatori locali che si sono visti a loro volta costretti ad abbassare i costi delle derrate. Inoltre, il prezzo del grano ucraino è già in partenza inferiore del 30% rispetto a quello interno di tutti i Paesi dell’est Europa. Ciò ha causato l’ondata di proteste durante il mese di aprile a cui il governo polacco ha risposto varando [1] un pacchetto denominato “scudo agricolo contro la guerra”: quest’ultimo prevede, tra le altre cose, l’acquisto comune di grano immagazzinato nei silos e il divieto di importazione di alcuni prodotti agricoli in Polonia. Poco dopo, Budapest e Bratislava hanno seguito l’esempio di Varsavia. «La nostra reazione a questa situazione potrebbe essere drastica, ma questa è una decisione per questi momenti, quando c’è una guerra, quando dobbiamo proteggere i polacchi, il mercato polacco, l’agricoltore polacco. Questo è il nostro dovere», ha asserito il neoministro per l’Agricoltura, Telus.

Intanto, Bruxelles ha preso contatti con le autorità competenti dei Paesi che hanno intrapreso tali misure, minacciando di prendere provvedimenti, in quanto l’iniziativa dei Paesi dell’est Europa è in contrasto con la Politica agricola comune (PAC), varata nel 1962 e riformata nel 2013, che attribuisce le competenze in materia agricola alla sola Unione Europea. Essa prevede [2], oltre a misure di sostegno al reddito degli agricoltori, attraverso pagamenti diretti, anche misure di mercato per far fronte a congiunture difficili o a concorrenza sleale: ad esempio, l’imposizione di prezzi più alti per i prodotti importati da Paesi non membri, tramite dazi e tariffe. Nel caso ucraino, però, tali misure sono state sospese per aiutare Kiev, favorendo il transito dei cereali attraverso i territori dell’Unione, mediante quelle che sono state definite “Solidarity Lanes” (corsie di solidarietà). Un’iniziativa che, tuttavia, è risultata insostenibile per gli agricoltori locali, nonostante Bruxelles abbia varato un pacchetto di aiuti nei confronti delle nazioni confinanti con l’Ucraina e stia lavorando in vista del secondo pacchetto: lo scorso 20 marzo, la Commissione ha stanziato aiuti pari a 56,3 milioni di euro finanziati dalla riserva agricola per tre Paesi: 29,5 milioni di euro alla Polonia, 16,75 milioni di euro alla Bulgaria e 10,05 milioni di euro alla Romania, dandogli la possibilità di integrare questo sostegno fino al 100% con fondi nazionali che ammonterebbero a un aiuto finanziario totale di 112,6 milioni di euro per gli agricoltori interessati.

L’Ungheria – avendo previsto le critiche dell’Ue all’iniziativa di proteggere il mercato agricolo interno – ha messo le mani avanti dichiarando che il principale motivo dietro al blocco delle importazioni di grano ucraino riguarda la contaminazione da tossine dei cereali ucraini facendo così prevalere la tutela della sanità pubblica nazionale sulle regole comunitarie. Le nazioni coinvolte nel blocco delle importazioni potrebbero, teoricamente, essere citate a giudizio dalla Corte europea di giustizia, ma – come accennato – la Commissione ha deciso di adottare la linea morbida per non sfaldare il fronte europeo di sostegno a Kiev: il fianco orientale dell’Unione e della NATO – ad eccezione dell’Ungheria – è, infatti, un pilastro politico e militare dell’unità della coazione pro-Kiev. Si lavora, dunque, affinché si possa rimuovere il blocco: «vogliamo che questi prodotti arrivino, ma che vadano in profondità in Europa» ha detto il ministro dell’Agricoltura polacco, disponibile a riprendere il dialogo con Bruxelles e con Kiev su questo punto. Mercoledì scorso, infatti, Varsavia ha deciso [3] di revocare parzialmente il divieto, ma solo per consentire il transito attraverso il suo territorio, non la vendita di grano ucraino. Ungheria, Slovacchia e Bulgaria, invece, hanno limitato l’importazione di cibo dall’Ucraina, sostenendo che ciò serve a difendere la competitività dei produttori locali.

Risulta imprescindibile, dunque, per l’Ue, garantire la sicurezza alimentare ed economica per non rischiare di incrinare l’asse antirusso e a sostegno dell’Ucraina. A tal fine, Dana Spinant, vicecapo portavoce e direttore per la comunicazione politica della Commissione europea ha dichiarato pochi giorni fa che l’Unione sta «preparando un secondo pacchetto di sostegno finanziario di cento milioni di euro».

[di Giorgia Audiello]