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I crimini contro la natura sono tra i più redditizi al mondo

Il nostro è un Paese così tanto ricco di biodiversità che abbiamo finito per criminalizzarla. Data la sua posizione geografica, la Penisola italiana è infatti diventata fulcro di rotte commerciali di traffici illeciti interni e internazionali di specie animali e vegetali protette, e, più in generale, territorio in cui la propensione al compimento di crimini contro la fauna e la flora selvatiche è decisamente aumentata. Ma non siamo gli unici. Basti pensare che tale pratica rappresenta la quarta attività criminale più redditizia al mondo, preceduta solo dal traffico di droga, dalla contraffazione e dal contrabbando di armi. In termini economici, il mercato generato dagli illeciti ai danni della natura genera entrate per 280 miliardi di dollari l’anno. È quanto emerge dal report [1] Il danno invisibile dei crimini di natura: analisi e proposte del WWF Italia, realizzato nell’ambito del progetto europeo SWiPE di cui l’associazione è tra i partner.

A cadere vittime di bracconaggio, caccia, prelievo di uova sono soprattutto gli uccelli, tra cui aquile e falchi, ungulati e anatidi: animali che una volta finiti nei mercati illeciti fruttano grosse somme di denaro. Non sono al sicuro neppure lupi e orsi né rettili o anfibi, già in uno stato di conservazione piuttosto precario. Con loro anche pesci d’acqua dolce o altre specie marine, tra cui ricci di mare, datteri, coralli e tartarughe. E se non si riescono a catturare vivi, sono redditizie pure parti singole del corpo degli animali, staccate dal resto. È frequente ad esempio il contrabbando di avorio, delle corna di rinoceronte, o della pelle di leopardo. A rischio anche le specie vegetali protette, come le radici della genziana lutea, parecchio ricercate perché utilizzate nella preparazione di distillati.

I dati raccolti in Italia dicono che tutto questo ci riguarda da vicino. Nel solo 2018 i Carabinieri hanno emesso multe contro la criminalizzazione di fauna e flora pari a 5 milioni e mezzo di euro (e di oltre un milione nel 2020). La Regione in cui ci sono stati più illeciti (dati dal 2016 al 2019) è la Lombardia, con 5.256 denunce, seguita da Veneto con 2.526 e Toscana con 2.247 denunce. Tuttavia, da nord a sud, non esiste territorio che ne sia privo.

Il motivo risiede anche nel fatto che non riusciamo a risolvere il problema alla radice e in maniera efficace. Partendo dall’ordinamento giuridico, il report dice che in Italia tra il 41 e il 46% degli illeciti vengono archiviati prima del dibattimento, e tra il 38-50% vanno in prescrizione. Dunque alla fine solo una piccola percentuale di questi arriva a condanna. Gli altri probabilmente finiscono per essere dimenticati, visto che non esiste una banca dati centralizzata sui crimini di natura, che le sanzioni sono molto basse e che pagando un migliaio di euro, chi uccide una specie protetta può tranquillamente ripulire la propria fedina penale da quanto commesso.

E poi manca il personale addetto: spesso si tratta di operatori di vigilanza volontari (come quelli del WWF, che durante i 5 mesi della stagione venatoria 2021-2022 hanno salvato in Campania 120 animali, segnalato alle autorità 97 violazioni penali, effettuato 77 sequestri e altro ancora). Quando invece si fa riferimento alle guardie appartenenti alle forze di polizia, queste risultano troppo striminzite e mal ripartite sul territorio nazionale.

Probabilmente perché quello dei crimini contro la natura è un fenomeno ancora troppo sottovalutato o considerato isolato, riconducibile cioè a qualche singolo cacciatore che si diverte a sparare. La verità, invece, è un’altra, ed ha una portata molto più vasta: il bracconaggio e il traffico di specie protette ci sono, esistono, e ci inglobano in un mercato dell’illecito mondiale, oltre ad avere «impatti gravi sulla biodiversità e possono essere veicolo di diffusione di patologie», spiega Luciano Di Tizio, presidente WWf Italia.

[di Gloria Ferrari]