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Le norme Covid usate per la repressione: studentessa condannata per una protesta

A Palermo la studentessa universitaria Ludovica Di Prima è stata condannata a una multa di 110 euro e 5 giorni di reclusione, pena convertita in una multa da 660 euro, per aver “istigato” alcuni studenti a prendere parte a un corteo di protesta a Palermo il 4 febbraio dello scorso anno. A motivare la condanna il fatto che la manifestazione si svolse in violazione delle norme anti-Covid in vigore in quei giorni le quali, come ricorda la studentessa, erano venute meno pressoché in qualsiasi ambito se non in quello delle manifestazioni di piazza.

La manifestazione si era svolta nell’ambito di una giornata nazionale di proteste a seguito della morte di Lorenzo Parelli [1], lo studente deceduto nel corso delle attività di alternanza scuola-lavoro, alla quale avevano aderito centinaia di migliaia di studenti. «In questa condanna contro una singola persona si riduce quella che è una scelta collettiva, una scelta politica di infrangere un divieto che in quel momento non era parso giusto» sottolinea Ludovica nel corso della una conferenza stampa [2] del Laboratorio Sociale Malaspina, dove gli studenti si erano ritrovati, al termine del corteo, per discutere delle proprie rivendicazioni. «Ricordo che quei divieti che arrivarono in quelle giornate facevano ancora riferimento a un decreto contro il Covid emesso durante il lockdown, che vietava le manifestazioni in forma mobile e le prevedeva solo in forma statica e ancora si trascinava dopo due anni, dopo che ormai era tutto aperto, dalle discoteche allo shopping alle fabbriche. Non c’era limitazione dal punto di vista del contenimento, se non quello delle manifestazioni». E infatti, proprio in ragione della violazione delle norme anti-Covid, a Torino [3] la polizia aveva caricato gli studenti delle scuole superiori in presidio in piazza Arbarello.

Come sottolinea Di Prima, la decisione di punire una sola persona nell’ambito di una manifestazione altamente partecipata spoliticizza il significato della protesta, riducendone la portata alla semplice responsabilità personale di un individuo o due. Un’operazione di semplificazione estrema se si pensa che in quei giorni e nei mesi seguenti «un’intera generazione» è scesa in piazza per rivendicare «la messa in discussione di una misura che non solo veniva ritenuta sbagliata, ma anche criminale», avendo causato «tre morti di alternanza scuola-lavoro» solo nello scorso anno, ma che non è mai stata messa in discussione dalle istituzioni.

Per sua natura il decreto penale di condanna, del quale Di Prima è stata destinataria, permette di saltare l’udienza preliminare e il dibattimento: l’obiezione, quindi, può essere fatta solamente a posteriori e riguarda una decisione già presa dal Tribunale. La studentessa, tuttavia, ha comunicato l’intenzione ricorrere in appello insieme al proprio avvocato, ritenendo la sentenza niente di più che una «forma di repressione».

[di Valeria Casolaro]