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MRNA e cancro: il business dei vaccini che non sono vaccini

La notizia negli ultimi giorni ha fatto il giro di tutti i media: le aziende farmaceutiche Moderna e Merck hanno annunciato che entro il 2030 saranno disponibili rivoluzionari vaccini contro il cancro e forse anche contro le malattie cardiovascolari e quelle autoimmuni. Secondo quanto riferito da Paul Burton, direttore medico di Moderna, grazie alla tecnologia a mRNA, con il suo enorme sviluppo ed applicazione durante la pandemia del Covid-19, sarà possibile curare una lunga lista di malattie. Curare, non prevenire. Infatti, quelli che vengono chiamati vaccini sono in realtà terapie geniche, stando alle stesse parole e ai fatti esposti dai produttori, che curano soggetti che hanno già una patologia in corso. Inoltre ancora non si ha alcun dato disponibile sull’efficacia delle terapie anti-cancro ad mRNA, se non i soliti comunicati aziendali che già in passato avevano – ad esempio – autocelebrato una inesistente efficacia del 95% contro il coronavirus. Eppure, tra giornalisti, virologi, politici e influencer di sistema è già iniziata la corsa alla magnificazione dei nuovi “vaccini”. Certo, la ricerca sulle terapie geniche contro il cancro – come ogni nuova frontiera della ricerca – è potenzialmente molto importante, ma questo non nega che molto di quanto abbiamo letto in questi giorni è falso.

Questi vaccini non sono vaccini

Durante un’intervista [1] rilasciata al giornale britannico The Guardian, Paul Burton, direttore medico di Moderna, decanta le lodi di quelli che sarebbero i “rivoluzionari” sviluppi in campo medico posti dall’implementazione su vasta scala della tecnologia a mRNA, la stessa utilizzata per la produzione dei così detti vaccini anti-Covid prodotti da Moderna e Pfizer-Biontech, che sarebbe in grado di offrire trattamenti per “tutti i tipi di aree patologiche” entro il 2030. “Penso che saremo in grado di offrire vaccini antitumorali personalizzati contro diversi tipi di tumore alle persone di tutto il mondo”, ha detto Burton durante l’intervista.

Al diffondersi delle dichiarazioni rilasciate dal direttore medico di Moderna, giornalisti, virologi, politici e influencer di sistema si sono subito attivati per la propaganda; uno su tutti, il giornalista Enrico Mentana, direttore del telegiornale di La7, il quale ha scritto un canzonatorio post rivolto ai fantomatici “no vax” nel quale afferma [2]: “E quindi, oltre ad averci permesso di fronteggiare la pandemia di Covid, i vaccini a Rna messaggero aprono la strada verso altri vaccini che ci potranno preservare dai tumori e da altre malattie”. Se però Mentana avesse letto (meglio) l’intervista rilasciata dal direttore medico di Moderna, Burton, si sarebbe reso conto che la spiegazione del fatto che tali prodotti non sono vaccini è fornita dal medesimo Burton quando spiega il funzionamento di quel che viene chiamato “vaccino” contro il tumore e che, non essendo un vaccino, non può “preservare” proprio niente. Infatti, quel che viene definito “vaccino contro il cancro”, e che in realtà è una terapia genica ad mRNA, viene iniettato a soggetti che hanno sviluppato già una patologia tumorale. Il procedimento, spiegato nell’articolo del The Guardian, prevede prima la biopsia del tumore sviluppato dal paziente malato, alla quale seguono analisi di laboratorio e calcoli con utilizzo di algoritmi per stabilire quale sia la cura personalizzata “più promettente” per il singolo soggetto. Dunque, i “vaccini” contro il cancro, come quelli promessi contro malattie cardiovascolari, malattie autoimmuni e molte altre, non prevengono, e non ci possono “preservare”, da alcuna malattia, semplicemente perché non sono vaccini ma terapie volte a curare una malattia già in corso.

Le giravolte linguistiche delle multinazionali per chiamarli vaccini

Il sito [3] dell’azienda farmaceutica Merck, che ha collaborato con Moderna per mettere a punto una terapia contro il cancro, in fondo alla pagina, alla voce chiamata “L’attenzione di Moderna sul cancro” riporta un chiaro esempio di effetto paradossale nel tentativo di voler affermare come vaccino qualcosa che chiaramente non lo è, per stessa ammissione degli stessi che, in una sorta di ciclo perverso, devono però proprio per questo continuare ad affermare il suo status di vaccino: “In Moderna, stiamo mantenendo la promessa della scienza dell’mRNA di creare una nuova generazione di farmaci trasformativi per i pazienti. Stiamo lavorando incessantemente per far crescere la nostra modalità terapeutica del cancro scoprendo farmaci a mRNA che sfruttano il sistema immunitario del corpo per identificare e uccidere le cellule tumorali nello stesso modo in cui il sistema immunitario identifica e prende di mira le infezioni. Un esempio di un promettente candidato oncologico è la creazione di vaccini antitumorali personalizzati individualizzati e basati su mRNA che forniscono farmaci personalizzati a un paziente alla volta. Continuiamo inoltre a rafforzare il nostro portafoglio attraverso collaborazioni strategiche che aumentano il nostro potenziale per migliorare le opzioni di trattamento per i pazienti affetti da cancro”. Insomma “una nuova generazione di farmaci” oncologici che però vengono chiamati vaccini antitumorali per pazienti “affetti da cancro”. Dunque stiamo parlando di farmaci che servono per curare persone malate. Addirittura, nel tentativo di continuare ad utilizzare la parola vaccino, in un passaggio di quanto riportato sopra, si afferma qualcosa di totalmente illogico: “Un esempio di un promettente candidato oncologico è la creazione di vaccini antitumorali personalizzati individualizzati e basati su mRNA che forniscono farmaci personalizzati a un paziente alla volta”. Quindi, vaccini antitumorali basati su mRNA che forniscono farmaci personalizzati? Riducendo ancora: vaccini che forniscono farmaci? E cosa vorrebbe dire? Sembra assomigliare ad una supercazzola.

Appena sopra, sempre sullo stesso sito [3], alla voce “L’attenzione di Merck sul cancro” si afferma: “Il nostro obiettivo è tradurre la scienza rivoluzionaria in farmaci oncologici innovativi per aiutare le persone affette da cancro in tutto il mondo. In Merck, il potenziale per portare nuova speranza alle persone affette da cancro guida il nostro scopo e sostenere l’accessibilità ai nostri farmaci antitumorali è il nostro impegno. Come parte della nostra attenzione al cancro, Merck è impegnata a esplorare il potenziale della immuno-oncologia con uno dei più grandi programmi di sviluppo del settore in oltre 30 tipi di tumore. Continuiamo inoltre a rafforzare il nostro portafoglio attraverso acquisizioni strategiche e stiamo dando priorità allo sviluppo di diversi candidati oncologici promettenti con il potenziale per migliorare il trattamento dei tumori avanzati”. Ancora una volta, stiamo chiaramente parlando di farmaci e cure per persone malate e non di vaccini che prevengono la malattia. E a dirlo sono gli stessi produttori, benché sempre essi stessi continuino ad utilizzare la parola “vaccino” per definire le proprie terapie geniche.

E perché queste terapie vengono ostinatamente chiamate vaccini? Un documento [4] redatto da Marco Cosentino e Franca Marino, dal titolo Understanding the Pharmacology of COVID-19 mRNA Vaccines: Playing Dice with the Spike?, pubblicato il 17 settembre dello scorso anno sulla rivista International Journal of Molecular Sciences, aveva già spiegato che i “vaccini” anti-covid non erano vaccini bensì farmaci, riassumendone le prove disponibili, ed evidenziato le implicazioni normative – nel definire farmaco o meno un prodotto – riguardo la sicurezza farmacodinamica, farmacocinetica, clinica e post-marketing, nel considerare farmaco piuttosto che “vaccino”. Infatti, se un prodotto è definito come vaccino la sua valutazione segue certi criteri mentre se è considerato un farmaco la valutazione sarà condotta seguendone altri. Nella pubblicazione appena citata si legge: “Definire la natura dei vaccini mRNA COVID-19 non è solo una questione di confronto di opinioni scientifiche. Le agenzie regolatorie hanno definito questi prodotti a priori come vaccini convenzionali e, di conseguenza, hanno fatto riferimento alle linee guida sui prodotti applicabili quando si è trattato di valutare le domande di vaccini COVID-19 per la successiva autorizzazione all’immissione in commercio”. Insomma, se un prodotto è considerato come un vaccino è sottoposto ad una certa valutazione mentre se è un farmaco la sua valutazione comprenderà specifici criteri. I due studiosi concludono dicendo: “I vaccini mRNA COVID-19 sono in realtà farmaci farmaceutici, e di conseguenza la loro farmacocinetica e farmacodinamica, ed eventualmente anche la loro farmacogenetica, devono essere adeguatamente caratterizzati per fornire un solido background di conoscenze per il loro uso razionale e mirato, smettendo così di “giocare a dadi” con questi prodotti a causa dell’errata convinzione che lo stesso vaccino alla stessa dose faccia bene a tutti, e che gli effetti avversi si verificano solo per caso”. Ovviamente, oltre alle implicazioni normative ci sono anche quelle sostanziali e di concetto: il vaccino viene somministrato a persone sane per prevenire una determinata malattia mentre un farmaco si somministra a persone malate per curare la suddetta malattia. Quindi riuscire ad accreditare un farmaco come vaccino amplia enormemente la potenziale platea dei destinatari e quindi gli affari dell’azienda produttrice.

Business e perpetuazione del potere

Stando ai primi dati [3] forniti da Moderna e Merck riguardo alla loro collaborazione per una terapia per la cura del cancro, l’effetto combinato del siero mRNA prodotto da Moderna (mRNA-4157/V940) – chiamato “vaccino” – con quello di Pembrolizumab – un anticorpo monoclonale prodotto da Merck – riduce del 44% il rischio di recidiva o morte rispetto al solo utilizzo di Pembrolizumab, del quale però non viene fornito alcun dato di efficacia a paragone. Per quanto riguarda gli effetti avversi gravi, invece, viene riscontrato un valore del 10% nella cura con il solo Pembrolizumab, mentre il valore registrato con la combinazione tra Pembrolizumab e mRNA-4157/V940 sale al 14% di effetti avversi gravi. La sperimentazione della terapia ha avuto luogo su un ristrettissimo campione composto da 157 pazienti con melanoma in stadio III/IV. Sul sito si può leggere: “Dopo la resezione chirurgica completa, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere mRNA-4157/V940 (nove dosi totali di mRNA-4157) e pembrolizumab (200 mg ogni tre settimane per un massimo di 18 cicli [circa un anno]) rispetto a pembrolizumab da solo per circa un anno fino alla recidiva della malattia o alla tossicità inaccettabile”. Dunque, detto in altre parole, la terapia combinata tra mRNA-4157/V940 di Moderna e Pembrolizumab di Merck, ha ridotto del 44% la recidiva o la morte di pazienti a cui era stato asportato chirurgicamente un melanoma.

Alla luce dello studio condotto dalle due case farmaceutiche, su un minuscolo campione di 157 persone, il cui 14% (22 persone) ha registrato effetti avversi gravi, con riscontro positivo nel 44% (69) dei pazienti, le mirabolanti dichiarazioni di Burton sembrano non avere alcuna sostanza eppure mirano a qualcosa. A ben vedere gli scopi possono essere due ed entrambi strettamente connessi ad un elemento. Il primo consiste nella reificazione del potere immaginifico creato con l’utilizzo spropositato della parola “vaccino” per somministrare farmaci genici i quali, passando per vaccini, percorrono strade di verifica e controllo diverse rispetto a quello dei farmaci. L’altro scopo è quello di legittimare e rafforzare il lavoro svolto in questi ultimi anni passati, i quali, al dire degli addetti ai lavori, avrebbero permesso di avanzare in maniera esponenziale nello sviluppo e nella ricerca della tecnologia mRNA: “15 anni di progressi sono stati sbobinati in 12-18 mesi grazie al successo del vaccino Covid”, si scrive [1] nell’articolo del The Guardian; quest’ultimo riporta anche le dichiarazioni di Richard Hackett, CEO della Coalition for Epidemic Preparedness and Innovations (Cepi), che afferma: “[..] le cose che avrebbero potuto srotolarsi nel prossimo decennio o anche 15 anni, sono state compresse in un anno o un anno e mezzo”. E nel merito della questione, non possiamo qui non ricordare le parole di Kathrin Jansen, ex responsabile della ricerca e sviluppo dei vaccini presso Pfizer, che nel novembre scorso, come da noi riportato, affermava [5]: “Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo”.

E quale sarebbe la stretta connessione tra i due scopi? Il profitto. Andrea Casadio, medico e giornalista, dalle pagine del quotidiano Domani, in un interessante articolo [6] intitolato “I vaccini rivoluzionari di Moderna. Dietro l’annuncio interessi economici”, dopo aver spiegato cosa siano questi cosiddetti “vaccini”, fa notare che l’annuncio di Moderna segue il tonfo registrato in borsa dalla stessa casa farmaceutica dopo la comunicazione del 22 marzo scorso con cui annunciava di mettere in commercio il “vaccino” anti-Covid al prezzo di 130 dollari per dose, mentre prima era venduto al governo degli Stati Uniti per un prezzo calmierato che oscillava tra i 15 e i 26 dollari per dose.

Vogliamo dire di più. Oltre alle azioni finanziarie di una singola azienda, che certamente contano quando si fanno certi annunci, sul piatto c’è un sistema di business e potere che non vuol mollare la posizione acquisita durante la pandemia. Infatti, come spiega lo stesso Casadio nel suo articolo, non si tratta solo di Moderna e Merck ma anche delle altre aziende farmaceutiche come Pfizer, Biontech, Novavax, Astrazeneca etc., le quali puntano forte sulle terapie sviluppate in maniera esponenziale grazie a due anni di emergenza pandemica, di regole saltate e di nuove arrivate. Per questo, nell’articolo del The Guardian, in chiusura, si riporta l’appello di Andrew Pollard, direttore dell’Oxford Vaccine Group e presidente del Joint Committee on Vaccination and Immunisation (JCVI) del Regno Unito, che chiede, in tempo di guerra e conflitto, di non dirottare l’attenzione e i finanziamenti [7] fin qui forniti all’aspetto medico-sanitario poiché questo farebbe perdere lo slancio assunto dal settore farmaceutico.

[di Michele Manfrin]