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Fratelli d’Italia vuole aumentare le pene per piccolo spaccio e coltivazione di cannabis

Fratelli d’Italia punta all’inasprimento delle pene per spaccio e detenzione di droga, anche nei casi di lieve entità. La deputata Augusta Montaruli, condannata per peculato nel caso rimborsopoli e da poco eletta vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai, ha infatti presentato [1] una proposta di legge in cui si alza a 5 anni la pena massima per chi produce, traffica e detiene sostanze stupefacenti o psicotrope quando il fatto è “di lieve entità”. Attualmente è prevista una pena da sei mesi a quattro anni e una multa da 1.032 a 10.329 euro. Secondo Montaruli, ad oggi la norma rende “impossibile applicare la misura cautelare in carcere“.

Nello specifico, la proposta andrebbe a modificare gli articoli 73 e 85 bis del DPR 309/1990 [2] in materia di stupefacenti, per dare «alla magistratura giudicante questo ulteriore strumento per arginare la reiterazione del delitto quando gli elementi de facto a seguito di una puntuale e attenta valutazione siano tali da richiederne l’applicazione», è scritto nella nota di accompagnamento al testo. La misura cautelare, secondo la proponente, si rende “necessaria” ove “la condotta tipica del reato per le modalità dell’azione determini, nonostante la lieve entità, un fenomeno criminoso comunque grave con il ritorno dello spacciatore – impropriamente comunemente chiamato piccolo spacciatore – sulla strada”. La norma attuale risulterebbe infatti “irragionevole” poiché “la lieve entità, seppur caratterizzata da una minore circolazione del denaro, non considera che esso deriva comunque da una condotta criminosa che non può che assumere contorni sempre più gravi quando non viene sottratto all’agente il fine ultimo del delitto ovvero una forma di guadagno proveniente da reato”.

Carcerazione preventiva e pugno duro contro spacciatori e possessori di droga, dunque. Un approccio che manifesta non solo una grande contraddizione rispetto a quello smaccatamente garantista promosso dal governo verso white collars ed evasori fiscali – la reintroduzione dei benefici penitenziari per gli amministratori corrotti e i 12 condoni per chi non paga le tasse sono solo alcuni esempi – ma anche in riferimento allo spaccato oggettivo dei dati sul binomio droga-carceri. Giova infatti ricordare che la legge sugli stupefacenti è il principale canale di ingresso all’interno degli istituti penitenziari: Come sottolinea l’ultima edizione del Libro Bianco sulle Droghe [3] (frutto del lavoro di varie entità e associazioni come Antigone, Legacoop sociali, Luca Coscioni e Cgil, riferita al 2021), un detenuto su tre è infatti in carcere per droga e, senza reclusi per art.73 – che non sono, quindi, soltanto spacciatori ma anche consumatori e coltivatori – “non si avrebbe alcun problema di sovraffollamento nelle carceri italiane”. Un dato che sconfessa in pieno la linea di Fratelli d’Italia.

Il rapporto evidenzia come la percentuale dei detenuti per droga si attesti al 34,88% del totale. I soggetti implicati in procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 sono 186.517. Inoltre, si confermano “drammatici” i numeri sugli ingressi e le presenze di detenuti che vengono definiti “tossicodipendenti”: lo sarebbero il 35,85% di coloro che entrano in galera. Nel Libro Bianco si scrive ancora che “la legislazione sulle droghe e l’uso che ne viene fatto” risultano “decisivi nella determinazione dei saldi della repressione penale: come dimostrato in questi anni la decarcerizzazione passa attraverso la decriminalizzazione delle condotte legate alla circolazione delle sostanze stupefacenti così come le politiche di tolleranza zero e di controllo sociale coattivo si fondano sulla loro criminalizzazione”.

Nel frattempo, giace in Parlamento la proposta di legge Magi-Licantini, che ha visto la luce lo scorso anno, atta a depenalizzare la coltivazione domestica della marijuana a uso personale, riducendo per la cannabis la pena detentiva minima a 2 mesi e quella massima a 2 anni. Il testo era stato approvato [4] dalla Commissione Giustizia della Camera, poi l’iter si era bloccato con la caduta del governo Draghi. L’obiettivo, aveva sostenuto il presidente della Commissione Giustizia Mario Perantoni, era quello di “sostenere chi ne fa un uso terapeutico” e “togliere terreno allo spaccio”. Una prospettiva che, ad oggi, appare incredibilmente lontana.

[di Stefano Baudino]