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Dietrofront dell’Italia: le armi agli Emirati Arabi si possono vendere

In occasione del Consiglio dei ministri tenutosi ieri a Palazzo Chigi, il governo di Giorgia Meloni ha ufficialmente revocato il divieto di vendita di armi agli Emirati Arabi Uniti. Ad introdurlo era stato il governo Conte nel 2019, poi l’Esecutivo guidato da Mario Draghi lo aveva ammorbidito, circoscrivendolo solo ad alcune categorie.

L’annullamento del divieto è stato sancito con un comunicato del Cdm in cui si ricorda [1] che, il 5 agosto 2021, il precedente governo ha avuto “conferma del fatto che l’impegno militare degli Emirati Arabi Uniti in Yemen era cessato” con un rallentamento dell’attività militare e una accelerazione di quella diplomatica. L’Esecutivo ha inoltre menzionato i fondi stanziati dagli Emirati Arabi negli ultimi anni per la ricostruzione dello Yemen e il loro impegno, reso pubblico lo scorso novembre, di destinare quasi un altro miliardo di euro nei successivi tre anni. Su tali basi, il Consiglio dei ministri ha attestato che “l’esportazione di materiale d’armamento negli Emirati Arabi Uniti non ricade più tra i divieti stabiliti dall’art. 1, commi 5 e 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185”, ovvero la legge sul commercio di armi.

Il divieto era entrato in vigore quattro anni fa con l’obiettivo di contrastare le attività militari in Yemen, dove dal 2015 al 2019 gli Emirati Arabi Uniti appoggiarono l’Arabia Saudita nel conflitto contro i ribelli houthi, sostenuti invece dall’Iran. Nell ’estate del 2021, il governo Draghi aveva fatto venire meno le restrizioni all’export di armi con Arabia Saudita ed Emirati attraverso l’abolizione della clausola end-user certificate [2] (Euc) rafforzata, cioè la norma che imponeva alle aziende italiane impegnate nella vendita di armi di presentare una certificazione in cui l’acquirente assicurasse che tali armi non sarebbero state impiegate nella guerra in Yemen. Il divieto era sopravvissuto per missili e bombe, ma saltato per le armi leggere.

I nuovi piani erano già evidenti a marzo, quando la premier era volata [3] ad Abu Dhabi. Al termine del viaggio, Meloni si era dichiarata “molto soddisfatta dei risultati ottenuti”, estremamente rilevanti “per le nostre priorità di politica estera, che aprono tante opportunità alle nostre aziende e che incidono positivamente sui grandi dossier come Nord Africa, Libia e immigrazione”. Leonardo – azienda italiana leader nel settore militare, il cui maggiore azionista è il Ministero dell’economia e delle finanze – aveva concluso un contratto con gli Emirati Arabi per l’acquisto di sei elicotteri AW139. Parallelamente, Eni e ADNOC (azienda statale petrolifera degli Emirati Arabi), avevano sottoscritto un accordo per delineare un quadro di cooperazione per futuri progetti congiunti nel settore della transizione energetica, della sostenibilità e della decarbonizzazione.

Quel che è certo – e molto grave – è che la storica legge 185/1990 [4] che ha regolato il commercio di armi è stata nuovamente disattesa. I commi 5 e 6 citati nella nota del governo, infatti, vietano l’esportazione e il transito di armi verso “Paesi in stato di conflitto armato” o “la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione”, nonché Stati che destinino “al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa”. Oltre a non brillare affatto in quanto a difesa dei diritti umani, gli Emirati Arabi detengono la spesa militare pro capite più alta al mondo, 2.256,54 dollari per cittadino. Inoltre, la volontà di mettere fine al conflitto in Yemen non si è ancora concretizzata con un trattato di pace. Insomma, l’approccio del governo appare in questo frangente estremamente diverso rispetto a quanto professato (e attuato) nella cornice del conflitto russo-ucraino. E le contraddizioni continuano a fioccare.

[di Stefano Baudino]