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Giù le mani dai sogni

Ho letto da qualche parte, forse era una battuta della serie Black Mirror, che presto potranno essere osservati in diretta i contenuti dei nostri sogni, come fossero film.

Sto studiando quali contromisure prendere. Far finta di sognare una cosa per sognarne davvero un’altra. Come fare? Voglio chiamare come testimoni l’antico Artemidoro, Omero, l’autore del Somnium Scipionis, Freud, Jung, Il sogno di un uomo strano (racconto di Dostoevskij: la locanda, la bambina che piange, la pistola carica…), voglio svegliarmi trovando vicino al letto, come pegno, un oggetto che avevo sognato, ho diritto alle mie piccole divagazioni, ai miei viaggi assurdi, voglio ricorrere alla Corte dell’Aja, mi devo garantire la libertà onirica, almeno quella!

E cosa ne sanno i padroni del mondo di quella battuta di Borges che si rivolge a Shakespeare dicendogli: “Fra le apparenze del mio sogno, ci sei tu, che, al pari di me, sei moltitudine e non sei nessuno.”, e Nabokov che sogna quella visita al Museo dove i visitatori, ignudi, cercavano di profanarlo, e la brezza del profumo di violetta al risveglio, nel racconto di Schulz Le botteghe color cannella, e i giochi delle porte e dei muri in quel racconto di H. G.Wells.

“Trovò lungo la strada del mare un piccolo piroscafo e vi salì con passo deciso, dopo di che il vaporetto si mise in movimento con una velocità senza eguali”: questo il sogno narrato da Kipling – e poi la splendida ninfea e la vista su Giava… E la nebbia densa e singolare, di cui parla Edgar Allan Poe nei Ricordi del signor Bedloe, che ha ispirato Conrad e Il compagno segreto, quando il capitano incontra il suo doppio sulla nave, in quel porto immerso nella foschia…

Ma primo fra tutti Apuleio, nel suo racconto di Amore e Psyche, il respiro a fatica, la coscienza turbata, l’esilio, la gioia della lontananza.

E ancora la donna che cammina a piccoli passi nel sogno di Chen Ya-Che, inizio IX secolo… il mimo dell’arco, le fanciulle che danzano, e l’altro cinese che incontra un’amica la quale si era incontrata con lui nel monastero della Mansuetudine.

E ancora quel filosofo cinese che sognava di essere una farfalla… E la chiusura de La macchina del tempo di H. G. Wells: “Per me il futuro è ancora nero e vuoto: è una immensa ignoranza illuminata per caso”.

Non mi basta pensare che per Freud il sogno sia il deposito del rimosso, preferisco forse Jung che ti fa addormentare come se andassi alla ricerca dei tuoi miti, preferisco quella ricchezza ornamentale dello spazio interiore di cui mi parlava Salomon Resnik quarant’anni fa, preferisco quell’alternanza indecidibile tra labirinto e logos sperimentata nel sogno. Mi viene in mente “la fantasmagorica estate di fiori narcotici e di umidi mari di fogliame” di cui racconta Lovecraft, e il tempo di cui lui narra, un tempo onirico, notturno pieno di bivii che si prendono insieme, contempòoraneamente.

Non so se ha ragione Róheim quando afferma che nel sogno l’anima è assente, per poi ripresentarsi in forma narrativa, quando al mattino vuoi raccontare il sogno a qualcuno. Sciamani dunque per una notte, per una notte tutta nostra, senza interferenze di controlli, di macchine diaboliche, di poteri arroganti perché, nella confusione del sogno, “nulla, – come cantava Omero – nulla che ignoto od oscuro a noi rimanga” (Odissea, canto XII).

Le sirene della notte sono proprietà privata, lo dico a voi padroni avidi di controllo, le Sirene sono nostre alleate, come al destarsi de La luna è tramontata di Steinbeck, 1942: “Alle dieci e quarantacinque tutto era finito. La città era occupata, i difensori abbattuti e la guerra finita”.

Non sempre la pace consiste nella fine della guerra, non sempre la verità ci aspetta al risveglio.

In ogni caso, tuttavia, giù le mani dai nostri sogni!

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]