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Il governo prepara una nuova stretta sui migranti, ma nel DEF li considera una risorsa

L’Italia necessita di più immigrati al fine di abbattere il debito pubblico. Non è la dichiarazione di un leader dell’opposizione progressista, ma quanto messo nero su bianco nel Def dal ministero dell’Economia del governo Meloni, guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti. Insomma, a ritenere vitale l’approdo di un maggior numero di stranieri per risanare i conti pubblici è proprio l’Esecutivo che ha appena dichiarato lo stato di emergenza [1] per l’ondata migratoria, presentando poi due maxi-emendamenti per sancire l’ennesima stretta su accoglienza ed espulsioni.

Nel Def, approvato nella seduta dell’11 aprile, viene rilevato che l’approdo in Italia di stranieri in età lavorativa potrà produrre un consistente miglioramento del rapporto tra debito e Pil: “Data la struttura demografica degli immigrati che entrano in Italia – si legge nel documento – l’effetto è significativo sulla popolazione residente in età lavorativa e quindi sull’offerta di lavoro”. Il Ministero dell’Economia sostiene infatti che un aumento del 33% della popolazione straniera farebbe diminuire il debito pubblico di 30 punti, mentre una flessione del 33% lo farebbe innalzare di quasi 60 punti.

Sullo sfondo, l’annoso problema del calo del tasso di fertilità: l’Istat ha registrato [2] che nel 2022 le nascite sono scese addirittura sotto la soglia delle 400mila unità (non accadeva dalla seconda metà dell’Ottocento), il che si tradurrà anche in un drastico calo di laureati nei prossimi trent’anni. Tutto ciò è accompagnato dall’ingente spesa pensionistica, la più alta tra i paesi Ocse. Nel Def il governo ha manifestato la volontà di aumentare l’importo della quota base dell’Assegno unico e universale e di mettere sul piatto risorse maggiori per nuovi figli e famiglie numerose, ma l’unico contributo per risollevare questi numeri sembra essere, per l’appunto, quello di un robusto ingresso di immigrati nello stivale.

Dall’altra parte, però, l’Esecutivo promette agli elettori l’ennesimo giro di vite sull’immigrazione, sebbene Giorgia Meloni si stia muovendo sul binario del compromesso tra la “linea dura” promossa da Matteo Salvini e i dubbi sollevati dal Quirinale sul Decreto flussi [3] che ha visto la luce il mese scorso. I due emendamenti alla norma depositati in commissione Affari costituzionali del Senato, che hanno superato il vaglio tecnico dal Mef e approderanno in aula il 18 aprile, ne sono la riprova.

La prima proposta di modifica riguarda l’art. 5 del decreto: nel testo si legge che il Ministero dell’Interno, “al fine di assicurare adeguati livelli di accoglienza”, potrà avvalersi fino a tutto il 2025 della Croce rossa per gestire l’hotspot di Lampedusa in situazioni di affollamento, nonché stipulare contratti con aziende di trasporto marittimo (in deroga alle norme sui contratti pubblici) per il trasferimento di almeno 400 migranti al giorno dall’hotspot a un porto della Sicilia meridionale.

Nel medesimo emendamento si consolida però il doppio binario del sistema di accoglienza: Se i vulnerabili, gli ucraini, gli afghani giunti in Italia con programmi istituzionali e coloro che arrivano attraverso corridoi umanitari potranno ancora essere accolti nei Sai (ex Sprar) gestiti con i Comuni, i richiedenti asilo saranno ospitati soltanto nei Cas (Centri di accoglienza straordinari governativi) fino alla decisione sulla domanda di protezione internazionale. Ciò comporterà un aumento delle spese di 16,7 milioni di euro per l’anno 2023.

Nel secondo emendamento si introducono poi stringenti paletti per gli immigrati che presentino nuovamente la domanda di protezione internazionale, che sarà ammissibile soltanto nel caso in cui contenga prove o elementi inediti riguardo alle proprie condizioni alla situazione del Paese di origine che “rendono significativamente più probabile” ottenere la protezione. La proposta di modifica prevede che, ove manchino questi nuovi elementi, sia lo stesso richiedente a dover specificare e provare di non aver avuto la possibilità di presentarli o dimostrare che l’eventuale ritardo nella presentazione della domanda non dipenda da lui. L’emendamento delinea anche novità sull’iter della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera o nelle zone di transito da richiedenti asilo che provengono da paesi di origine certa. In questo caso, la commissione territoriale competente sarà chiamata a decidere entro una settimana dal giorno del ricevimento dell’istanza.

Ad un occhio neutro, le contraddizioni propagandistico-ideologiche dei primi sei mesi del governo Meloni nei più svariati settori della gestione della cosa pubblica appaiono numerose e molto problematiche. Quello delle politiche sull’immigrazione, alla prova dei fatti, ne è forse uno degli esempi più evidenti.

[di Stefano Baudino]