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I fondi UE ingrassano gli allevamenti intensivi, penalizzando i piccoli produttori

In questo articolo voglio illustrare una situazione paradossale che coinvolge le dinamiche dei fondi europei per l’agricoltura e l’allevamento destinati al nostro Paese in particolare. Si tratta di fatti portati all’attenzione di recente da un’indagine [1] di Greenpeace sugli allevamenti intensivi in Lombardia, una delle regioni italiane con più capi di bestiame allevati. Questa indagine ha messo in luce un sistema finanziario europeo malato, di cui è bene parlare affinché i consumatori siano ben informati e possano di conseguenza fare scelte di acquisto più libere e consapevoli. Nessun mezzo di informazione mainstream, in Italia, ha parlato di queste dinamiche assolutamente perverse relative ai fondi UE destinati al nostro Paese. Probabilmente non c’è la volontà di far emergere i meccanismi e gli interessi economici collegati alla produzione industriale delle carni della Pianura Padana.

In Lombardia ogni anno arrivano soldi pubblici da parte dell’Unione Europea, per finanziare a fondo perduto le aziende che mettono in piedi il sistema di allevamento intensivo di animali, soprattutto suini e bovini.

La cosa però piuttosto scandalosa e inaccettabile di questa situazione è che, oltre al fatto di non devolvere gli stessi fondi agli allevamenti biologici e alle piccole aziende agricole gestite secondo il metodo non-intensivo, i soldi vengono devoluti anche ai comuni della Lombardia in cui non si rispettano i limiti di inquinamento previsti dalla Direttiva Nitrati [2] della stessa UE, ovvero quella direttiva che individua le regole da rispettare per non produrre inquinamento dell’aria e del suolo a seguito dell’allevamento di animali e dei loro liquami. E non è finita qui: l’Italia infatti paga multe ogni anno alla UE proprio perché non rispetta questi limiti. Anche di questa inadempienza tutta italiana non si parla nei giornali e TV mainstream, ma gli unici a darne notizia sono le associazioni ambientaliste come Greenpeace o il WWF [3], appunto. Quindi la situazione paradossale è che il nostro Stato paga multe per inadempienza di leggi europee sugli allevamenti animali, ma al contempo riceve ugualmente ogni anno dei soldi europei per aumentare la produzione di carne negli allevamenti intensivi. Non vi pare che sia un inganno vero e proprio? Soprattutto perché sia i soldi delle multe che lo Stato italiano paga ogni anno, sia i contributi che vengono dati alle aziende di allevamenti intensivi sono tutti soldi pubblici, cioè li pagano i cittadini italiani (le multe all’Italia) ed europei (Fondi UE che vanno alle aziende della Lombardia che inquinano).

Allevamenti intensivi: il caso Lombardia

Questa regione si caratterizza per essere quella con il numero maggiore di allevamenti suini e bovini in Italia. I dati sono chiari: il 50% dell’intero patrimonio suinicolo nazionale è allevato nella regione Lombardia (circa 4,3 milioni di capi), nonché il 25% dei bovini del nostro Paese. Come spiega la Commissione europea nell’ultima Relazione sull’applicazione della Direttiva nitrati [4], i liquami degli allevamenti, se non correttamente gestiti, possono essere causa di “notevoli rischi per l’ambiente”, soprattutto quando si ha “un numero elevato di capi concentrato in uno stesso luogo”. È il caso della Lombardia, dove si trovano in media quasi un maiale ogni due abitanti e circa 180 suini per chilometro quadrato. Stando alla Commissione europea, un territorio con una così alta densità di animali è esposto a elevati rischi ambientali. Questi liquami vengono dapprima raccolti in apposite vasche giganti nei pressi delle aziende di allevamento, e poi sparsi sui terreni agricoli in funzione di fertilizzante e concime. Tuttavia, dobbiamo immaginarci ogni campo agricolo come una vasca da bagno: infatti, ogni terreno – in base alle sue caratteristiche e al tipo di coltivazione – può assorbire un dato quantitativo di deiezioni animali, oltre il quale è come se strabordasse. Ed è proprio quando l’accumulo è eccessivo, che gli effluenti zootecnici possono diventare un pericolo per l’ambiente e per la salute. 

“Alcune indagini hanno evidenziato una relazione tra l’esposizione cronica a nitrati (sostanze derivate dall’azoto) e una maggiore incidenza di cancro negli adulti”, dichiara Carlo Modonesi, membro del Comitato scientifico dell’Associazione medici per l’ambiente (ISDE). Tanto che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), organo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, li ha inseriti nel gruppo dei “probabili cancerogeni per l’uomo [5]”. Per scongiurare il rischio di cancro, in realtà, “non esistono limiti minimi di sicurezza perché, nel caso specifico, il rischio zero è associato a concentrazioni pari a zero” chiude Modonesi.

Il problema sorge perché l’11% dei comuni lombardi, secondo i monitoraggi della stessa Regione Lombardia, nel 2018 ha superato i limiti di legge per il carico di azoto (168 comuni su 1.507 del totale). Significa che in questi territori c’è un rischio ambientale e un rischio per la salute dei cittadini. E questo rischio è collegato alle emissioni di azoto degli allevamenti intensivi. Come spiega a Greenpeace Pierluigi Viaroli, docente all’Università di Parma ed esperto di eutrofizzazione e qualità delle acque: “Il problema è la densità molto alta di allevamenti in poche zone circoscritte. Quando si comincia ad avere un allevamento da mille capi bovini o da 5-10 mila capi suini, trovare una modalità sostenibile di spandimento delle deiezioni è difficile”. Quindi lo spandimento di liquami della zootecnia, da risorsa utile al terreno agricolo, rischia di diventare un fattore inquinante.

Fondi UE, 120 milioni ai comuni che superano il limite di carico di azoto

Nonostante le prescrizioni della Direttiva europea chiamata Direttiva Nitrati [2], ovvero quella direttiva che individua le regole da rispettare per non produrre inquinamento dell’aria e del suolo a seguito dell’allevamento di animali e dei loro liquami, un comune lombardo su dieci non rispetta queste prescrizioni. Eppure, paradossalmente, i fondi dell’Unione europea continuano a finanziare soprattutto gli allevamenti che si trovano nei comuni che hanno sforato il limite annuo di azoto per ettaro. Degli oltre 250 milioni di euro che nel 2018 sono stati destinati agli allevamenti della Lombardia, ben 120 milioni (quasi il 45%) sono finiti nei 168 comuni che la Regione Lombardia segnala [6] come territori dove è stato sforato il carico legale di azoto. I fondi UE arrivano ogni all’Italia per il meccanismo della PAC.

Che cos’è la PAC?

La PAC (Politica Agricola Comune) [7] è una politica comune ai Paesi dell’Unione europea a sostegno della produzione e del reddito agricoli, alla quale è dedicato quasi il 40% del bilancio annuale dell’Ue. Tra gli obiettivi dichiarati, in particolare per la Pac 2021-2027 attualmente in discussione, anche la salvaguardia ambientale e la lotta ai cambiamenti climatici. Obiettivi che finora non sembrano essere stati centrati dato che, secondo la stessa Commissione, dal 2012 le emissioni agricole di gas serra in Europa sono in costante aumento. E come si pensa di risolvere questa contraddizione? Aggiustando le cose in maniera più sostenibile forse? Niente affatto, la Regione Lombardia propone a Bruxelles di innalzare i limiti di legge che si riferiscono ai valori inquinanti.

Regione Lombardia: “Aumentare i limiti di spandimento del letame”

Il Pirellone ha fatto richiesta [8] di innalzare ulteriormente i limiti in deroga dello spandimento di liquami. La Direttiva nitrati, infatti, permette la possibilità di arrivare a 250 chili/ettaro di azoto, su richiesta delle singole aziende, anche nelle aree vulnerabili, grazie alla deroga che è stata negoziata con Bruxelles dalle regioni Lombardia e Piemonte.

“Abbiamo chiesto all’Unione europea che il limite allo spandimento venga innalzato oltre l’attuale di 250 chili/ettaro concesso fino a oggi per le aziende in deroga” dichiara Fabio Rolfi, assessore all’agricoltura, alimentazione e sistemi verdi della Regione Lombardia. Il motivo? Perché il numero dei capi allevati in Lombardia non sembra diminuire e di conseguenza neppure la produzione di reflui. Una richiesta di questo genere mira esclusivamente ad “agevolare le aziende allo smaltimento del letame” e non tiene in adeguata considerazione gli impatti sull’ambiente e sulla salute. 

[di Gianpaolo Usai]