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Dodici città italiane chiedono una legge urgente per limitare Airbnb

Dodici sindaci hanno lanciato un appello al governo affinché intervenga regolamentando, con una legge, gli affitti brevi, il settore finito ostaggio delle piattaforme online come Airbnb. In Italia, gli annunci extra-alberghieri stanno vivendo una crescita esponenziale: sono passati dall’essere 20mila nel 2011 a toccare la cifra dei 700mila nel 2022. Tale impennata «ha avuto come effetto collaterale quello di alterare le dinamiche immobiliari, in particolare nelle località a più spiccata vocazione turistica, con la crescente difficoltà per famiglie, lavoratori, studenti a trovare un appartamento», ha dichiarato il primo cittadino di Rimini, Jamil Sadegholvaad. In attesa di una risposta da parte del governo Meloni, si sono attivate le Regioni discutendo proposte di legge in materia, mentre lo scorso gennaio, nel capoluogo toscano, è stato [1] lanciato il referendum comunale sull’urbanistica “Salviamo Firenze [2]”.

A Venezia, soltanto su Airbnb, ci sono 1.400 alloggi affittati per 250 giorni l’anno, a Firenze e Milano quasi 1.600 mentre a Roma la cifra supera la soglia dei 3mila. Lo status di tali appartamenti, che restano sfitti per un terzo dell’anno, contribuisce alla riduzione dell’offerta immobiliare per studenti, lavoratori e famiglie. Non è difficile comprendere il motore della turistificazione [1]: affittare un appartamento per brevi soggiorni durante l’anno è più remunerativo che impegnare lo stesso stabile con ospiti di lungo periodo. Tale logica, lasciata a sé, ha però contribuito all’emergenza abitativa in cui oggi si ritrova l’Italia (e non solo [3]), con un numero crescente di famiglie impossibilitate a vivere nei centri città e di studenti e lavoratori costretti a declinare opportunità didattiche e occupazionali a causa di costi proibitivi o dell’assenza di alloggi. Per questo motivo sempre più città italiane invocano l’azione governativa per limitare il fenomeno, raggiungendo un equilibrio tra le parti. L’auspicio degli enti minori è che l’esecutivo, nel redigere la legge nazionale, si ispiri alla bozza formulata [4] dal movimento Alta Tensione Abitativa, estendendo dunque “l’esperimento di Venezia” a tutta Italia. Durante il governo Draghi, alla città lagunare è stato infatti conferito uno status particolare (non ancora applicato), che le permette di fissare un tetto massimo agli alloggi destinati agli affitti turistici.

L’auspicata libertà di manovra lasciata ai sindaci nel decidere quanti e quali freni porre a livello locale dovrà rispondere alla necessità di «autorizzare gli affitti brevi sopra i 90 giorni, emettendo licenze all’interno di una programmazione della città in cui si individuano le zone in cui è possibile farlo. Qualcosa di simile al decreto UNESCO sul commercio nel centro storico», ha dichiarato il sindaco di Bologna Matteo Lepore. Il tutto puntando all’ambizioso obiettivo di rendere l’affitto breve un integratore del reddito, secondo il principio: “un proprietario, un affitto”. L’attacco è rivolto ai cosiddetti “grandi player”, gli host che gestiscono decine di appartamenti. A Milano, ad esempio, i primi 50 host su Airbnb gestiscono insieme il 15% degli annunci totali. La richiesta dei sindaci, se giungerà a Palazzo Chigi, incontrerà l’ostacolo delle associazioni turistiche nonché della stessa maggioranza, dove la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, si è già detta contraria all’idea di dare ai Comuni più densamente turistici la possibilità di autogestirsi in materia.

[di Salvatore Toscano]