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La guerra ucraina è anche di religione: Kiev espelle i monaci russi

In Ucraina si è raggiunto un nuovo picco nello scontro politico-religioso con l’arresto del metropolita Pavel e l’espulsione dei monaci di Kyjevo-Pečers’ka lavra, l’antico monastero delle Grotte di Kiev. Kyjevo-Pečers’ka lavra, monastero risalente al 1051, guidato dal metropolita Pavel, era rimasto fedele al Patriarcato di Mosca nonostante lo scisma della Chiesa ortodossa ucraina avviato il 15 ottobre 2018 e anche dopo l’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale”. Pavel, così come altri religiosi, è accusato da parte delle autorità ucraine di sostenere la Russia e il suo sforzo bellico e adesso, posto agli arresti domiciliari, rischia una condanna a 15 anni di prigione.

Il tribunale di Kiev, all’inizio del mese di marzo, aveva ordinato alle persone all’interno del monastero delle Grotte di abbandonare l’edificio entro il 29 del mese. Vari sono stati gli appelli del metropolita Pavel rivolti al governo di Zelensky affinché intervenisse sulla decisione della corte della capitale ucraina, chiedendo di non utilizzare la religione come forma di ritorsione politica. A niente sono valsi questi inviti alla riflessione e, il primo di aprile, le forze di sicurezza ucraine hanno iniziato lo sgombero forzato delle quasi mille persone all’interno del monastero e operato l’arresto [1] del metropolita Pavel.

Il Servizio di sicurezza dell’Ucraina (SBU) afferma [2] che il metropolita Pavel è «sospettato di violare l’uguaglianza dei cittadini» di aver «ripetutamente insultato i sentimenti religiosi degli ucraini» nonché «fatto dichiarazioni che giustificavano o negavano le azioni dello stato aggressore». Le affermazioni che incriminerebbero il religioso sarebbero state intercettate dai servizi di Kiev nel corso degli ultimi mesi. Pavel si difende affermando di non aver fatto nulla per essere accusato e ha definito l’azione «un ordine politico». Secondo il ministero degli Esteri russo, l’arresto del metropolita e il sequestro di Kyjevo-Pečers’ka lavra sono atti «illegittimi dal punto di vista legale e immorali dal punto di vista spirituale» e accusa Washington di operare per «lo scisma dell’Ortodossia». Nonostante l’intervento delle forze di sicurezza, monaci e fedeli continuano a presidiare il monastero.

«Per molti secoli, il cristianesimo ortodosso ha costituito la base spirituale e culturale comune della vita dei popoli della Russia e dell’Ucraina e potrebbe servire a ripristinare la comprensione reciproca in futuro, ma le fondamenta stesse di tale dialogo vengono minate in Ucraina proprio ora che vengono fatti tentativi di distruggere la Chiesa ortodossa ucraina su iniziativa della leadership dell’Ucraina», furono le parole pronunciate, nel gennaio [3] scorso, dal metropolita Anthony (Sevryuk) di Volokolamsk, capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, durante un collegamento video ad una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Già nel dicembre [4] scorso, diversi religiosi erano stati sanzionati e dozzine di chiese in tutto il Paese perquisite dall’SBU. Un’operazione che portò solo al rinvenendo di qualche passaporto, simbolo e libro russo. In quel periodo, il sacerdote della Chiesa ortodossa ucraina Andriy Pavlenko è stato condannato a 12 anni per aver passato informazioni sulle posizioni ucraine ai russi e una settimana dopo è stato inviato in Russia come parte di uno scambio di prigionieri. «Non c’era menzione nei ritrovamenti di armi o sabotatori. Quello che hanno detto di aver trovato era materiale stampato, documenti, che non sono proibiti dalla legge ucraina», disse all’epoca delle massicce perquisizioni il metropolita della Chiesa ortodossa ucraina Klyment. In quell’occasione Klyment ebbe anche a dire che, dall’inizio della guerra, fino a 400 delle 12.000 chiese della Chiesa ortodossa ucraina si sono convertite alla Chiesa ortodossa dell’Ucraina, creata con uno scisma dal Patriarcato di Mosca nel 2018.

Dopo la diatriba religiosa sul giorno in cui festeggiare il Natale in Ucraina, con il parallelo periodo di fermi e perquisizioni, si ripete lo stesso schema in piena Quaresima e a ridosso della Pasqua: una volta di più la religione viene utilizzata come strumento politico di un conflitto che, come visto, è cominciato ben prima del 24 febbraio 2022.

[di Michele Manfrin]