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Usa, Biden mette a disposizione dei petrolieri un’area grande come l’Italia

Nonostante le promesse fatte in campagna elettorale, l’amministrazione Biden sembra tutt’altro che propensa a bloccare lo sviluppo di nuove trivellazioni petrolifere. Di recente, un enorme appezzamento di territorio nel Golfo del Messico, con un’estensione paragonabile a quella dell’Italia, è stato messo all’asta [1] proprio per dare il via a nuove perforazioni per l’estrazione di petrolio e gas. A mettere la vasta area, compresi i fondali profondi, a disposizione dei colossi fossili è stato il Dipartimento degli Interni del presidente USA. In totale controtendenza con gli avvertimenti degli scienziati sulla necessità di eliminare rapidamente i combustibili fossili, chi si aggiudicherà la porzione di Golfo potrà dare vita a progetti di trivellazione che potranno durare anche decenni.

All’asta, in particolare, vi è un totale di circa 30 milioni di ettari, di cui una parte ha già ricevuto numerose ed elevate offerte da parte di 32 compagnie dei combustibili fossili. Le multinazionali, nel complesso, hanno offerto complessivamente 309,7 milioni di dollari per i diritti di trivellazione. Offerte che, nei prossimi mesi, saranno valutate dal governo, il quale poi rilascerà i contratti di locazione. Tra l’altro, le controverse aste sono state annunciate appena due settimane dopo che la stessa amministrazione democratica ha approvato il progetto Willow, un’impresa di trivellazione nella remota tundra artica dell’Alaska. Un progetto dal valore complessivo di 8 miliardi di dollari che servirà ad estrarre fino a 180 mila barili di petrolio al giorno. Gestito dalla compagnia petrolifera statunitense ConocoPhillips, interesserà per decenni un’area di 930 mila chilometri quadrati e porterà alla realizzazione di oltre 200 pozzi di estrazione distribuiti su tre piattaforme di perforazione. In sostanza, passo dopo passo, l’immagine ‘verde’ che si è costruita l’amministrazione Biden si sta via via sgretolando. In campagna elettorale, ad esempio, il presidente USA aveva affermato che si sarebbe impegnato a fermare tutte le operazioni fossili nelle terre e nelle acque federali, nonché che avrebbe impedito ogni nuovo sussidio all’industria del petrolio e del gas. Al riguardo, il governo si è difeso affermando di essere stato costretto a bandire l’asta a seguito della decisione di un giudice federale. Quest’ultimo avrebbe accolto il ricorso di diversi stati repubblicani bocciando la moratoria sulla vendita di licenze decretata dal presidente in attesa di una revisione complessiva. Tuttavia, alcuni esperti legali hanno fatto notare quanto la decisione del tribunale in sé non impedisca all’amministrazione di fermare o ritardare l’asta o di ridimensionarla.

Dure le critiche degli ambientalisti, e della società civile in generale, i quali hanno attaccato duramente Biden accusandolo di ipocrisia. Gli attivisti climatici, ad esempio, ritengono che la nuova ondata di trivellazioni potrebbe cancellare gran parte dei benefici dei progetti eolici e solari previsti per il prossimo decennio. Il che vanificherebbe anche gli effetti positivi dell’Inflation Reduction Act, la legge che lo stesso Biden ha lodato come il “più grande passo avanti sul clima di sempre”. Tra le giustificazioni avanzate dalla Casa Bianca è stata indicata poi una serie di fattori che concorrono a far traballare il programma sul clima, tra cui, l’immancabile invasione russa dell’Ucraina da parte della Russia. Secondo l’amministrazione, il conflitto alle porte dell’Europa avrebbe imposto “l’accelerazione nella costruzione di terminali per l’esportazione di petrolio e gas negli Stati Uniti e destinati agli alleati europei”.

[di Simone Valeri]