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Un nuovo rapporto ONU certifica le torture in Libia e accusa l’Europa

Secondo il Consiglio per i diritti umani, sostenuto dalle Nazioni Unite, le prove sono ormai chiare e inconfutabili: in Libia – un Paese che negli ultimi anni è diventato un punto di transito per milioni di persone di diversa nazionalità che cercano di arrivare in Europa – sono stati commessi crimini contro l’umanità ai danni di residenti e migranti. Abusi a cui, secondo il gruppo di esperti, avrebbe contribuito anche l’Unione europea, supportando economicamente le forze armate e finanziando l’intercettazione e la detenzione di migranti.

Che le forze dell’ordine nazionali utilizzino metodi poco ortodossi per contenere la migrazione è cosa ormai nota. Basti pensare all’episodio del 25 marzo scorso, quando una motovedetta libica ha minacciato la nave Ocean Viking della ong Sos Méditerranée e un gommone carico di migranti, sparando in aria e in acqua. Certo, il fatto che per la prima volta un rapporto ufficiale [1] ne certifichi le violenze, ammonendo al contempo Bruxelles, è invece di per sé una grossa novità.

I risultati sono stati raccolti dalla Missione indipendente di accertamento dei fatti sulla Libia (FFM), partita il 22 giugno 2020 per indagare sulle violazioni e gli abusi dei diritti umani in tutta la Libia, e al fine di prevenire un ulteriore deterioramento della situazione e individuare possibili responsabili. Negli anni gli esperti hanno condotto centinaia di interviste, ascoltando i racconti di migranti e testimoni che hanno vissuto sulla propria pelle il caos di un Paese diviso tra amministrazioni rivali e milizie in guerra.

Mohamed Auajjar, capo della missione conoscitiva, ha dichiarato che la sua squadra ha portato alla luce «numerosi casi di detenzione arbitraria, omicidio, tortura, stupro, riduzione in schiavitù, anche sessuale e sparizione forzata», spesso sotto la minaccia delle armi. Gli intervistati hanno raccontato di abusi sessuali ai danni di donne e uomini, anche da parte di guardie che lavorano sia per le autorità statali che per gruppi di trafficanti – «abbiamo fondati motivi per ritenere che il personale di alto rango della Guardia costiera libica sia colluso con trafficanti e contrabbandieri». Le vittime «includevano bambini, uomini e donne adulti, difensori dei diritti umani, politici, rappresentanti della società civile, membri delle forze armate o di sicurezza, legali e persone omosessuali o presunte tali».

Tuttavia, secondo il gruppo, negli ultimi tre anni sono le donne ad aver visto maggiormente la propria condizione sprofondare. Nel rapporto infatti si scrive di discriminazione “sistematica” contro di loro, sfociata in aumento della violenza domestica e sessuale, non punita da alcuna legge, e una generale impunità per i crimini commessi contro importanti donne ‘leader’, tra cui la parlamentare Sihem Sergiwa, sparita nel nulla nel 2019, e l’attivista Hannan Barassi, uccisa nel 2020.

Molti dei migranti che arrivano in Libia nella speranza di poter muoversi altrove, finiscono per essere trattenuti seppur senza alcun capo d’accusa, lasciati morire in condizioni orribili e\o «sottoposti regolarmente a torture e isolamento», senza avere accesso ad acqua, cibo o altri beni di prima necessità. Condizioni che per il Consiglio per i diritti umani – che tra l’altro ha condiviso il suo rapporto con la Corte penale internazionale – non sono più tollerabili, e alla luce delle quali le autorità dell’UE dovrebbero rivedere le loro politiche e gli accordi presi con la Libia.

La guardia costiera del Paese, infatti, riceve addestramento e attrezzature direttamente dall’UE, ed entrambe le entità coordinano vicendevolmente gli interventi, in un lavoro che potremmo definire ‘di squadra’. Certo, «l’UE non è responsabile di crimini di guerra, ma il sostegno fornito ha aiutato e favorito i crimini». Immediata la reazione della Commissione europea, il cui portavoce, Peter Stano, ha ribadito che «l’UE non ha finanziato la guardia costiera libica». Ma che, piuttosto, l’aiuto fornitogli «aveva lo scopo di migliorare le loro prestazioni in termini di ricerca e soccorso».

Prendendo per vere tali affermazioni, il problema è che i modi di sostenere le violazioni dei diritti umani non sono sempre e solo quelli che si vedono. L’Italia, ad esempio, oltre a fornire motovedette e addestramento, con la Libia ha uno stretto rapporto basato sul gas. Proprio lo scorso gennaio Claudio Descalzi, Amministratore Delegato dell’ENI e da Farhat Bengdara, presidente della compagnia petrolifera di Stato ‘National oil corporation’ (NOC) hanno stipulato un accordo [2] da 8 miliardi di dollari di investimenti per l’esplorazione di nuovi giacimenti. Senza dimenticare poi il famoso “Memorandum Italia-Libia [3]”, un’alleanza in cui l’Italia si impegna a fornire alla Libia supporto finanziario e tecnico per contrastare la migrazione verso la nostra penisola. Da quando è stato siglato (nel 2017) ad oggi, sono più di 100 mila le persone riportate indietro, dopo essere state intercettate dalla Guardia Costiera Libica nelle acque del Mediterraneo centrale.

[di Gloria Ferrari]