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L’anticorruzione lancia l’allarme sul nuovo Codice degli appalti approvato dal governo

Il governo ha ufficialmente varato [1] il decreto contenente il nuovo Codice degli appalti, festeggiato dal leader leghista e ministro Matteo Salvini come una «rivoluzione» foriera di effetti positivi su semplificazione, sburocratizzazione e velocizzazione delle procedure. Molti punti della riforma, che innescherà una liberalizzazione quasi totale dei contratti pubblici, sono stati però aspramente criticati dall’Autorità nazionale anticorruzione. Sulle barricate ci sono i sindacati, che hanno indetto una mobilitazione per il 1º aprile, data in cui il nuovo codice entrerà in vigore.

Tra i punti cardine della norma vi è sicuramente la digitalizzazione, che troverà il suo perno nell’attività della Banca dati nazionale dei contratti pubblici, che farà capo all’Anac. Via anche al fascicolo virtuale dell’operatore economico, alle procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti pubblici e all’accesso agli atti per i cittadini.

Tra le misure [2] più contestate spicca, però, la liberalizzazione degli appalti sotto-soglia: per appalti fino a 150mila euro, la procedura indicata è quella dell’affidamento diretto; al di sopra di tale soglia scatta invece per le stazioni appaltanti la procedura negoziata senza bando (con 5 imprese invitate per appalti fino a un milione di euro e 10 per appalti fino a 5,3 milioni), nel rispetto del principio di rotazione. Per gli appalti fino a 500 mila euro, le piccole stazioni appaltanti – cioè gli enti locali più piccoli – avranno poi la possibilità di procedere in maniera diretta, senza passare per le stazioni appaltanti qualificate. Attraverso il meccanismo dell’appalto integrato, prima non consentito, si potrà inoltre attribuire con la medesima gara sia la progettazione esecutiva che la realizzazione dei lavori sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica. La norma autorizza anche il cosiddetto “subappalto a cascata“, cioè il subappalto del subappalto.

Pur dando atto di una serie di elementi positivi, tra cui la gestione digitale degli appalti, il rafforzamento della vigilanza collaborativa e il ruolo accresciuto di Anac di sostegno alle stazioni appaltanti, l’Autorità nazionale anticorruzione ha complessivamente stroncato la riforma. «Semplificazione e rapidità sono valori importanti, ma non possono andare a discapito di principi altrettanto importanti come trasparenza, controllabilità e libera concorrenza, che nel nuovo Codice non hanno trovato tutta l’attenzione necessaria, specie in una fase del Paese in cui stanno affluendo ingenti risorse europee», ha dichiarato [3] il presidente Giuseppe Busia. Sulla base delle nuove norme, infatti, il 98,7% dei lavori pubblici potrà essere assegnato direttamente o con procedura negoziata senza bando, dunque senza che abbia luogo una gara pubblica che coinvolga chiunque voglia partecipare.

Secondo Busia, le soglie «troppo alte» per gli affidamenti diretti e le procedure negoziate «rendono meno contendibili e meno controllabili gli appalti di minori dimensioni, che sono quelli numericamente più significativi, tutto questo col rischio di ridurre concorrenza e trasparenza nei contratti pubblici». Grandi perplessità sono state espresse sugli appalti sotto i 150mila euro, con cui «si dà mano libera, si dice “non consultate il mercato, scegliete l’impresa che volete”, il che vuol dire che si prenderà l’impresa più vicina, quella che conosco, non quella che si comporta meglio». Al contrario, sarà più facile scegliere «il cugino o anche chi mi ha votato, soprattutto nei piccoli centri».

A denunciare i potenziali effetti perversi del “subappalto a cascata” sono poi i sindacati. l’Usb ha sostenuto [4] che il nuovo Codice porterà alla “giungla“, dal momento che “la stazione appaltante potrà procedere ad una sequela infinita di cessioni di lavori ad altre imprese: un meccanismo che favorirà la nascita di scatole vuote, senza dipendenti e create solo per appaltare lavori, e che porterà ad una ulteriore frammentazione del sistema”. A questo proposito, giova infatti ricordare come la criminalità organizzata tenda a inserirsi nel settore delle opere pubbliche proprio grazie al meccanismo del subappalto, costituendo [5] sovente società prive di reali strutture intestate a prestanomi (le cosiddette “cartiere“) che apparentemente prendono in subappalto lavori affidati a una società reale, con la finalità di creare costi fittizi per innescare meccanismi fraudolenti.

Insomma, analizzando la riforma nella sua interezza, a fronte di piccoli passi avanti su alcuni versanti, la strada per infiltrazioni, fenomeni corruttivi e una conseguente lievitazione dei costi dei lavori appare spianata. In una nota congiunta, Vito Panzarella e Alessandro Genovesi, Segretari generali di FenealUil e Fillea Cgil, hanno affermato [6] che il nuovo Codice degli appalti “rischia di farci tornare indietro di cinquant’anni soprattutto in termini di legalità, trasparenza e tutela dei lavoratori” e che le nuove regole rendono nella pratica “più difficile il rispetto dei contratti collettivi, l’applicazione e verifica delle tutele per salute e sicurezza, favorendo il dumping e il nanismo aziendale e rendendo più difficile verificare la concreta applicazione della parità di trattamento economico e normativo lungo la filiera”. Il 1 aprile, Cgil e Uil manifesteranno contro questa riforma, nonché contro il decreto 11/2023 sul Superbonus, nelle città di Torino, Roma, Napoli, Cagliari e Palermo.

[di Stefano Baudino]