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Finanziamenti pubblici, profitti privati: uno studio fa i conti sui vaccini Covid

I finanziamenti forniti dagli Stati per la ricerca, lo sviluppo e l’ampliamento della capacità di produzione dei vaccini anti Covid-19 sono stati alquanto corposi, ma nonostante ciò diverse aziende farmaceutiche hanno fissato i prezzi senza tenerne conto e sono arrivate a guadagnare ingenti somme di denaro in barba ai fondi messi a disposizione dai contribuenti: è quanto si desume da un recente studio [1] richiesto dalla Commissione speciale sulla pandemia di Covid-19 (COVI) del Parlamento Europeo. Dopo aver esaminato nove differenti vaccini anti Covid-19, dalla ricerca è emerso che dal 2020 all’inizio del 2022 i finanziamenti esterni, provenienti prevalentemente dai governi ed in particolar modo dagli Stati Uniti, ammontavano a 9 miliardi di euro, con una media di un miliardo per ciascun vaccino seppur con “notevoli differenze tra le aziende”. Non solo, perché queste ultime hanno altresì ottenuto “quasi 21 miliardi di euro grazie agli accordi preliminari di acquisto (APA)”, con il sostegno dell’UE e dei suoi Stati membri che è stato “fondamentale per ridurre il rischio degli investimenti nella produzione dei vaccini”.

Dati alquanto rilevanti, soprattutto se si considera che i finanziamenti delle aziende sembrano non reggere il confronto con i finanziamenti esterni pari a 30 miliardi di euro. “Sebbene le informazioni sulle spese per la ricerca e lo sviluppo sostenute dalle aziende per i vaccini anti Covid-19 non siano disponibili per il pubblico, si stima che si aggirino intorno ai 4-5 miliardi di euro per il periodo 2020-2021”: questo si legge infatti nello studio, in cui viene poi sottolineato che “governi ed altri attori pubblici rappresentano oltre l’80% del totale dei fondi esterni assegnati“. Un forte sostegno pubblico, dunque, che riducendo i rischi per le società ha conseguentemente “aumentato i rendimenti per gli investitori, soprattutto per le aziende che non hanno dichiarato di fissare il prezzo della dose in base ai costi”. E l’aumento a quanto pare è stato notevole: basterà ricordare che alcuni finanziamenti ed i quasi 21 miliardi di euro di accordi preliminari di acquisto (APA) – firmati prima dell’approvazione dei vaccini – potrebbero aver contribuito a ridurre il rischio di “circa 11 miliardi di euro di investimenti aziendali per la capacità di produzione dei vaccini fino al 2021″. Una riduzione a cui avrebbe partecipato in maniera importante l’Unione europea, la quale fino al 2021 aveva firmato con i produttori dei vaccini “8 APA per un totale di 1,3 miliardi di dosi”, che secondo una stima basata sulle informazioni trapelate in merito al prezzo per dose avevano un valore totale di “circa 6,8 miliardi di euro”.

Sarebbe quindi sbagliato sostenere che i guadagni realizzati dalle aziende grazie alla vendita dei vaccini (in alcuni casi pari a decine di miliardi di euro) siano in qualche modo accettabili in virtù del rischio finanziario dalle stesse assunto. Come visto, infatti, il rischio assunto dal settore pubblico è stato anche superiore a quello delle aziende, che mediamente hanno ricevuto importanti finanziamenti esterni. Alcune società, però, hanno goduto in maniera maggiore degli stessi: basterà ricordare il caso dell’azienda statunitense Moderna, per la quale la “percentuale dei finanziamenti pubblici rispetto ai finanziamenti totali” è stata del 100%. Un dato che inevitabilmente cattura l’attenzione, soprattutto se si considera la recente volontà dell’azienda di far corrispondere a circa 130 dollari il prezzo del suo vaccino negli Stati Uniti, facendolo aumentare di quattro volte [2]. Una scelta ancor più rilevante se si tiene conto delle parole [3] pronunciate dall’amministratore delegato di Moderna Stéphane Bancel, il quale in seguito alle prime notizie circolate nelle scorse settimane ha da un lato ammesso che il finanziamento pubblico «ha accelerato lo sviluppo del vaccino» ma dall’altro giustificato la decisione affermando che «la piattaforma mRNA dell’azienda è stata finanziata da investitori e non dal governo», aggiungendo che «uno stabilimento aziendale è stato costruito prima della pandemia con finanziamenti privati». Il fatto che successivamente siano arrivati finanziamenti pubblici notevoli evidentemente non conta, ed è forse anche per questo che lo studio parla del bisogno di “evitare che la futura scienza dei vaccini sostenuta dai contribuenti venga completamente privatizzata senza alcuna garanzia in materia di diritti di proprietà intellettuale (DPI), distribuzione equa e prezzi accessibili”. E di trasparenza sui dati, aggiungiamo noi.

[di Raffaele De Luca]