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La battaglia dei sindaci virtuosi per il bene comune, intervista a Marco Boschini

Consumo di suolo, dissesto idrogeologico, devastazioni ambientali: le amministrazioni locali possono fare tanto per proteggere e mettere in sicurezza i territori. Non tutto è possibile, ma non sono poche le possibilità in mano a un sindaco, a patto che decida realmente di porre la tutela del territorio nella lista delle priorità amministrative. Un’azione che richiede anche integrità, visto che necessariamente si accompagna alla capacità di resistere alle pressioni di gruppi politico-finanziari che proprio dalla cementificazione continua di nuove porzioni di territorio traggono linfa vitale. Ma come un’amministrazione virtuosa può realmente migliorare la vita dei cittadini? E, soprattutto, fino a dove può arrivare realmente un sindaco illuminato prima di dover necessariamente capitolare di fronte alla scarsità di fondi e ai vincoli di bilancio che da anni stringono con un cappio finanziario il collo delle amministrazioni comunali? Ne abbiamo parlato con Marco Boschini, il coordinatore nazionale dell’Associazione dei Comuni virtuosi, che da anni mette in rete i primi cittadini che si muovono ostinatamente controcorrente, ponendo il bene comune in cima alla loro azione di governo locale.

Spesso si ritiene che le amministrazioni comunali siano tra i colpevoli principali di alcune delle cause del dissesto idrogeologico, favorendo il consumo di suolo: quali sono realmente le possibilità e le responsabilità di un’amministrazione comunale sul fenomeno?

Le amministrazioni locali hanno una grande responsabilità rispetto a quello che è il governo del territorio e di conseguenza il consumo esistente al suo interno. Ma bisogna pure ammettere che i sindaci sono stati forzati ad agire in questo modo dalla drastica diminuzione di trasferimenti di fondi dallo Stato ai Comuni. Da vent’anni i Comuni sono di fatto obbligati a trovare modi creativi per continuare a garantire ai cittadini servizi essenziali come asili, assistenza agli anziani e servizi sociali. Purtroppo molti sindaci hanno sacrificato il territorio per poterlo fare, garantendo entrate dalla trasformazione di terreni agricoli in terreni edificabili.

Cosa può fare un sindaco virtuoso per proteggere il territorio?

Può fare molto a livello di prevenzione e quindi a livello di informazione alla cittadinanza, su come comportarsi in caso di situazioni di difficoltà legate ad alluvioni, bombe d’acqua ed aventi metereologici estremi. Questa è un’attività fondamentale, che salva vite, ma spesso non viene fatta perché considerata erroneamente uno spreco di tempo e risorse. Poi è essenziale che si impegni a fermare il consumo di suolo perché la cementificazione rende impermeabili i terreni, impedendo di assorbire l’acqua in caso di alluvioni e contribuendo così a creare disastri e tragedie. Servono poi investimenti per mettere in sicurezza situazioni pericolose. Si tratta tuttavia di interventi che costano in termini economici e non si può pensare che lo Stato e le Regioni continuino a lasciare soli i Comuni in questa battaglia, né dal punto di vista economico né da quello della pianificazione e del coordinamento. Non si può pensare che basti un sindaco illuminato a cambiare le cose.

Ci può fare un esempio di intervento fatto in questi anni per migliorare le condizioni di un territorio e di qualche amministrazione virtuosa che si è distinta in questo senso?

Ce ne sono diversi. Posso fare l’esempio dell’ex sindaca Elena Schipani del Comune di Scontrone in provincia dell’Aquila, Abruzzo. Con determinazione e progettualità la sua giunta nel 2016 è riuscita a completare la rimessa allo stato naturale del fiume Sangro. Negli anni ’80 il fiume in città era stato interamente canalizzato e cementificato nelle sue sponde, un’opera pianificata come prevenzione ma in realtà pericolosissima oltreché impattante per l’ambiente. Ha nuovamente liberato il fiume e scelto di proteggere la città dalle possibili esondazioni creando argini a ridosso degli abitati, un’opera in controtendenza, tra le prime in Italia. Progetti come questi rendono più sicuri i territori e migliorano l’ambiente.

Esiste una convinzione diffusa che i fondi ci siano ma che siano le amministrazioni locali a non saperli spendere, su questo tema lei – ad esempio – ingaggiò un’aspra polemica con l’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa con una lettera durissima nella quale accusava le istituzioni statali affermando: “Sono almeno 20 anni che state smontando, demolendo e mortificando l’azione sul campo degli enti locali”. In che modo questo svuotamento delle possibilità delle amministrazioni locali è stato portato avanti?

Da una parte c’è stata una forte privatizzazione dei servizi pubblici che fino a non tanto tempo fa le amministrazioni comunali gestivano direttamente. Questo comporta una serie di problemi, tra cui anche uno svuotamento di competenze. Se si esternalizza un servizio nel giro di pochi anni tutta la conoscenza e le competenze che si erano create si perdono perché semplicemente non si controlla, non si governa e non si gestisce più quel servizio per conto dei propri cittadini. In più aggiungiamo che con il patto di stabilità e il blocco delle assunzioni per tantissimo tempo non si è potuto fare una turnazione nella pianta organica dei Comuni. Quindi, al di là della buona volontà degli amministratori, questi sono problemi che a volte si rivelano insormontabili. Dire che i Comuni hanno le risorse per proteggere i territori è una menzogna, a meno che non si asserisca che per farlo debbano tagliare asili, assistenza e servizi sociali.

Cosa dovrebbe fare lo Stato per aiutare i sindaci a proteggere i territori, partendo dal presupposto che i soldi – a meno che non si scelga di non rispettare i vincoli sul deficit imposti da Bruxelles – sono pochi anche per il governo centrale?

Un modo per aumentare i trasferimenti di denaro alle amministrazioni locali va trovato, da vent’anni vengono tagliati e la situazione ha oltrepassato da un pezzo il livello di guardia. Inoltre si dovrebbero introdurre meccanismi di premialità per i sindaci virtuosi, in modo che un sindaco che smette di cementificare il territorio venga premiato con maggiori risorse rispetto a uno che continua in maniera illogica a mettere terreno agricolo in mano ai costruttori. Allo stesso modo andrebbero concesse più risorse ai sindaci che operano bene la raccolta differenziata, e così via. Le buone amministrazioni vanno premiate, invece con il sistema attuale essere un sindaco virtuoso significa dover rinunciare a dei soldi, non ha senso.

Spesso è stato denunciato il fatto che anche la finta abolizione delle Province, in realtà semplicemente ridimensionate e de-finanziate, abbia contribuito a complicare il quadro, è di questo avviso anche lei?

Assolutamente sì. È stata una scelta scellerata che ha seguito un populismo montante: si è risparmiato qualche soldo, ma si è lasciato un disastro amministrativo. Si sono perse una serie di prerogative che le amministrazioni provinciali avevano e che, ad esempio sul tema del consumo di suolo e sulla gestione più in generale del governo del territorio, erano essenziali. Credo si debba aprire un dibattito sulla necessità di ripensare questa scelta sbagliata. In Italia non si capisce più chi ha il compito di gestire i territori, questo è grave. In tutto questo si immette poi l’obiettivo politico di concedere sempre maggiore autonomia alle Regioni, ma sulla protezione dei territori per me non può esserci autonomia nello stabilire gli obiettivi, questi devono essere stabiliti dallo Stato e devono essere chiari.

Nel PNRR sono stati assegnati alle Regioni 800 milioni per la prevenzione del rischio idrogeologico: possono essere una svolta?

Le risorse sono sempre poche, ma è certamente qualcosa. Anche sul PNRR il problema però è di metodo. Ci sono regioni che hanno una struttura operativa che le ha portate a presentare i progetti in modo sensato e rispettando i tempi, altre che sono in ritardo. È chiaro che ci sono delle falle. Paradossalmente, ancora una volta, le risorse andranno maggiormente nei luoghi dove forse ce n’era meno bisogno, perché appunto le macchine operative di alcune Regioni spesso non sono in grado di attivarsi, per mancanze proprie o perché non hanno le competenze interne.

Il governo Meloni ha finalmente pubblicato il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), è un passo nella giusta direzione?

Sicuramente è un passo avanti, ma non decisivo. Si tratta di un piano che dettaglia e descrive bene il problema, ma che non mette in campo progetti e soluzioni concrete da attuare in tempi certi. Quindi per ora si tratta di un’analisi più che di un piano.

Lei ha anche chiesto la nomina di un ministero delle Piccole Opere in contrapposizione alla politica delle “grandi opere”. Qual è il senso della proposta e quali sono le piccole opere che servirebbero per migliorare il territorio?

Il Ministero delle piccole opere è una provocazione che lanciammo qualche anno fa, che però resta drammaticamente attuale. Noi siamo un Paese che spende pochissimo per la manutenzione ordinaria e straordinaria. Il problema è che la politica ha bisogno di cose che si vedono e che portano consenso, la manutenzione e la cura del territorio si vede molto meno di un grande ponte. Ma le piccole opere, in confronto delle grandi opere, distribuiscono occupazione e ricchezza nei territori. Una grande opera viene fatta in un singolo contesto e spesso attrae le attenzioni e gli appetiti della criminalità. Il ministero delle Piccole Opere servirebbe per mettere in campo tutte le reali urgenze del nostro Paese nel quale non si fa più prevenzione. Per me, l’unica vera grande opera che serve all’Italia è il coordinamento di una molteplicità di piccole azioni distribuite su tutto il territorio.

[di Andrea Legni]