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A Bruxelles l’Italia vota per difendere gli interessi degli allevamenti intensivi di carne

Il governo italiano, rappresentato a Bruxelles dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin, ha votato contro un accordo sul testo della Direttiva Emissioni Industriali [1] raggiunto dagli altri Stati membri. Il diniego del nostro Paese è giunto perché all’interno del documento, che regola le emissioni industriali, sono stati inclusi per la prima volta anche gli allevamenti intensivi di animali per la produzione di carne. La disposizione era richiesta da tempo da gruppi ambientalisti e per i diritti degli animali, ma l’Italia ha negato il suo consenso, erigendosi di fatto a portavoce degli interessi delle grandi aziende della carne.

«Le soglie per i bovini sono per noi inaccettabili», ha dichiarato senza mezzi termini Pichetto Fratin. Dello stesso parere anche il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, per cui «le soglie indicate per i bovini rischiano di portare alla desertificazione di un settore produttivo primario in Europa».

La direttiva attualmente in vigore, la 2010/75/UE [2], che stabilisce norme per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento da attività industriali, ha riguardato fino ad oggi esclusivamente gli allevamenti avicoli e suinicoli di maggiore dimensione (cioè il 5% del totale). Con la nuova direttiva, approvata nonostante il no italiano, le regole riguarderebbero anche gli allevamenti di bovini. Più in generale l’ambito di applicazione della direttiva si estenderebbe a tutte quelle aziende zootecniche per allevamenti intensivi con un numero di unità di bestiame adulto superiore a 350 per bovini e suini, a 280 per il pollame e a 350 per le aziende agricole miste. Dunque, con vincoli più rigidi, all’interno della direttiva rientrerebbe il 50% degli allevamenti (e non più il 5%).

Quello degli allevamenti intensivi è un settore economicamente rilevante per l’Italia ma, nonostante una certa narrazione politica porti a crederlo, il Belpaese è lontano dall’essere il maggior produttore europeo in relazione alla propria economia. L’Olanda, ad esempio, conta un’impressionante popolazione di 100 milioni di capi di bestiame per 17 milioni di abitanti e dipende largamente da questa industria. Tuttavia il governo di Amsterdam è tra i fautori della direttiva e sta lavorando da tempo [3] per riconvertire l’industria. L’Italia al contrario spende ancora milioni di euro di soldi pubblici per sovvenzionare gli allevamenti intensivi [4] e prepara le barricate in difesa di un settore dannoso dal punto di vista ambientale e non solo.

Dati alla mano, secondo l’European Environmental Bureau, il settore zootecnico dell’Unione europea (UE) rappresenta una delle principali fonti di inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua, responsabile del 12-17% [5]delle emissioni totali di gas a effetto serra. Ma i problemi di cui gli allevamenti intensivi sono responsabili non si limitano alle emissioni. Il costo sanitario e ambientale dell’inquinamento idrico nell’UE dovuto all’eccesso di azoto e fosforo supera i 22 miliardi di euro all’anno, con costi più alti nelle regioni che ospitano più allevamenti intensivi. In essi, inoltre, per prevenire i problemi di salute e la circolazione di virus favorita dalle condizioni di vita degli animali, si fa ampio uso di antibiotici [6], un fattore che ne alimenta la resistenza anche tra la popolazione umana, con pesanti ripercussioni sanitarie. Come se non bastasse sono ampiamente documentate, anche in Italia [7], le condizioni di vita e le sofferenze insopportabili cui sono sottoposti gli animali.

Secondo la Commissione europea, la proposta di includere i bovini e soglie inferiori per gli allevamenti di suini e pollame, comporterebbe un beneficio ambientale e sanitario di 5,5 miliardi di euro all’anno grazie alle minori emissioni di metano e ammoniaca, mentre i costi di conformità e i costi amministrativi sarebbero rispettivamente di soli 265 e 233 milioni di euro. Alcuni di questi costi, tra l’altro, potrebbero essere sostenuti dalla politica agricola comune, che dispone di un bilancio di 54 miliardi di euro per anno.

[di Gloria Ferrari]