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20 marzo 2003: quando l’Occidente legittimò l’invasione dell’Iraq con una fake news

Mancavano poche ore a mezzanotte del 20 marzo 2003, quando le televisioni statunitensi interruppero improvvisamente le trasmissioni per mandare in onda il discorso del presidente George W. Bush che annunciava l’avvio delle operazioni contro l’Iraq di Saddam Hussein

L’operazione, sulla scia degli attentati dell’11 settembre 2001 e di Amerithrax, aveva trovato l’avallo della Gran Bretagna di Tony Blair, della Spagna di José Maria Aznar e dell’Italia di Silvio Berlusconi, oltre che di una ventina di altri leader e Paesi.

Le immagini vivide delle esplosioni e degli incendi, nella notte di Baghdad, colonizzarono gli schermi delle televisioni di tutto il mondo. La guerra era iniziata. Quegli stessi schermi, poco più di un mese prima, avevano rilanciato la fake news che valse come pretesto per spingere la Casa Bianca a invadere l’Iraq e ottenere la legittimazione morale del conflitto.

Era il 5 febbraio 2003 quando, presso il Consiglio di Sicurezza alle Nazioni Unite, l’allora Segretario di Stato, Colin Powell, aveva tenuto un discorso in cui aveva parlato delle armi batteriologiche in possesso dell’Iraq, mostrando ai rappresentanti degli altri Paesi, con un gesto teatrale, una fiala che conteneva una polvere bianca [1]. Agitando la fiala, Powell aveva accusato l’Iraq di essere in grado di produrre circa 25 mila litri di antrace, secondo quanto dicevano gli ispettori delle Nazioni Unite. Nel suo discorso Powell aveva fatto anche riferimento al «Grosso faldone dei servizi segreti sulle armi biologiche dell’Iraq» e di laboratori mobili per la produzione di quelle armi, di testimonianze che accreditavano quanto riportato, mentre alle sue spalle il direttore della CIA George Tenet [2] seguiva le sue parole con espressione seria e coinvolta.

Il ricordo delle lettere all’antrace, diffuse all’indomani dell’11 settembre era ancora vivo nell’opinione pubblica americana e l’immagine di quella fiala ancorò l’idea, poi dimostratasi falsa, di una minaccia che proveniva da Saddam Hussein.

Il clima di terrore e di esasperazione in seguito agli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono portarono a elaborare la tesi ufficiale che le missive velenose rientrassero nella “seconda parte” dell’attacco dell’11 settembre. La responsabilità dell’invio della posta avvelenata fu inizialmente attribuita proprio ad al Qaeda. Il governo Bush strumentalizzò tale minaccia per convincere il mondo della necessità di attaccare l’Iraq, in quanto Saddam Hussein avrebbe avuto i magazzini pieni di antrace. 

[Articolo del Corriere della Sera del 08 settembre 2002 rivelatosi poi una fake news]
Si scoprì, successivamente, che le spore usate negli attacchi appartenevano a un ceppo particolarmente potente, denominato “Ames [3]”, usato in almeno una dozzina di laboratori di ricerca degli Stati Uniti per testare i vaccini e le nuove cure per la malattia. Al Qaeda non c’entrava nulla con quegli attentati. Amerithrax permise, però, di intraprendere la guerra infinita contro il “terrore islamico”, portando all’approvazione del Patriot Act e all’ennesima, insensata spirale di sangue e violenza: la guerra contro l’Iraq. Il ruolo di Powell fu fondamentale: senza la sua messinscena la “più grande democrazia” non avrebbe ottenuto il consenso per invadere l’Iraq. 

Il 6 ottobre 2004, davanti alla Commissione del Congresso usa, il capo degli ispettori americani, Charles Duelfer, presentò un rapporto di quasi mille pagine [4] a opera dei servizi segreti americani in cui si smontava l’esistenza di armi di distruzione di massa detenute segretamente da Saddam, decretando come ingiustificata e illegittima la guerra in Iraq.

Secondo Duelfer [5], Saddam aveva mantenuto l’intenzione di ottenere armi di distruzione di massa, ma dopo la prima guerra del Golfo del 1991 la capacità dell’Iraq si era drasticamente ridotta. Le conclusioni di Duelfer sono state confermate da tutte le inchieste successive e dai numerosi dossier elaborati dal Veteran Intelligence Professionals for Sanity (vips), gruppo di analisti ed ex ufficiali dell’intelligence che aveva messo in dubbio la narrazione governativa.

A conferma di ciò, l’inchiesta condotta dalla Commissione inglese presieduta da Sir John Chilcot [6] che ha esaminato 150 mila documenti e ascoltato più di cento testimoni per cercare di stabilire la verità su una delle pagine più controverse della storia britannica. Secondo il rapporto elaborato dalla Commissione, l’intervento militare in Iraq sarebbe stato «una decisione precipitosa» e i piani su cui l’attacco si fondava erano completamente inadeguati. Il casus belli legato al presunto possesso di armi di distruzione di massa da parte del regime di Baghdad venne fatta con “una certezza ingiustificata”.

Secondo Chilcot, l’intervento armato non era affatto l’unica risorsa a cui ricorrere e si sarebbero dovuti adottare altri rimedi alternativi e pacifici per raggiungere il disarmo, come per esempio una strategia di contenimento e proseguire con le ispezioni o il monitoraggio.

[di Enrica Perucchietti]